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Towards a Complementary Humanism - save humanism and human world - by Ajith Rohan J.T.F.

  Common Objective – "Save humanity and the human world." By "human world," we refer to the "man-made world...

Saturday, 13 June 2009

La Possibilità della verità (01)

La Possibilità della verità (01)


Castello di Quero, Acquarello, by: Ajith Rohan - 1998

Su questo tema abbiamo progettato di scrivere una serie di articoli dal punto di vista filosofico. Vi chiediamo con tutto il rispetto di leggere con l’ottica critica e di individuare i punti incoerenti e inadeguati al problema poi generosamente farci sapere le vostre idee.
Premessa
La verità è un problema nato con l’uomo “soggetto” ed “individuo”. Innanzitutto e soprattutto, l’uomo non sa chi sia lui/lei esattamente, e non è capace di dare una definizione esauriente di se stesso. Ha la certezza e, allo stesso tempo, ha i dubbi su tutto intero il proprio essere. Sappiamo, secondo le creatività del campo biologico, che gli esseri umani sono tutti uguali, fatta eccezione delle capacità intellettuali e fisiche che a loro volta sono modifiche dello stesso DNA e non hanno nulla di particolare che un qualsiasi uomo non possa avere. Il fatto è questo: senza conoscere l’uomo come è possibile conoscere la verità? Vale a dire, se l’uomo deve conoscere, come conosce? Cosa conosce? Quale è la validità della sua conoscenza? Quando conosce cosa fa e cosa succede in lui/lei? Se queste domande fondamentali sono valide, dobbiamo formulare un'altra domanda: conoscere è comprendere la capacità umana di comprendere e quindi comprendere il nostro comprendere? Nonostante tutto ciò, ci sono diverse verità. Ci sono anche diverse unità della verità considerata come Assoluta. All’interno di uno sfondo catalitico di un’unità Assoluta della verità, ci sono poi diverse altre verità e convinzioni diverse. Tra queste tutte verità Assolute ed altre verità, forse ci sono alcune caratteristiche che si possono rendere evidenti; come per esempio la regola d’oro. Intanto, continua il dubbio e continua la tentazione di fare affermazioni sulle “Verità” assolute. D’altra parte, non sappiamo qual è la relazione tra le verità e, le Verità e l’uomo, perché anche noi pensiamo di aver “scoperto” delle verità Assolute, viviamo sempre dimenticandole proprio come se non avessimo nulla del genere, dando spazio solo al potere, alla prepotenza, all’istinto, al dominio dell’altro, alla guerra, alla produzione degli armi di massa ecc. Se è così, qual è la possibilità della verità nella nostra vita?

introduzione

Tutti gli esseri umani cercano o sperano, relativamente o universalmente, la coerenza tra i fatti. Questa ricerca e/o speranza potrebbe essere fondata su una definizione della verità, ma è anche altrettanto possibile non avere una definizione precisa, chiara e distinta (come sperano tutti). La verità sul piano collettivo è pericolosa. Innanzitutto, la verità in questo contesto diventa giustizia e pace, che, a loro volta, sono legate in modo complementare all’ingiustizia e alla guerra. L’istinto collettivo esige dall’individuo il sacrificio del proprio sé, cioè, dei piaceri, dispiaceri, volontà, amori, libertà e perfino della propria vita. Quindi, non si può amare liberamente chi si vuole perché, se chi si ama è un “fuori legge collettivo”, bisogna tradirlo e consegnarlo alla giustizia. In questo modo, grazie a questa verità, ossia alla giustizia collettiva, tra noi c’è sempre diffidenza, dolore, ansia, sofferenza e dispiacere di vivere. Nonostante tutto, bisogna rendere evidente un principio universale, prima di procedere nel discorso: senza la presenza dell’uomo il problema della verità o delle verità non esiste. Lui/lei è il centro di tutto ciò che sta intorno. Qualsiasi singolo concetto che si “assorbe”, si “riduce”, ossia fa da piattaforma o da sfondo, per le “creatività” dei soggetti, diventa il “movente” o la dimensione nascosta o il cannocchiale dell’interpretazione. Senza la presenza dell’uomo, noi non sappiamo nulla; per dirlo, io devo essere un uomo altrimenti nulla posso dire.
Detto questo, ora individuiamo alcuni piani rispetto a cui uno spera o cerca la verità: un primo livello è nella vita, nei fatti quotidiani, all’interno dei domini socio-politico e culturali, e/o a livello internazionale; un altro livello è quello spirituale e infine a livello filosofico. Quest’ultimo, a sua volta, abbraccia l'uomo in quanto uomo e la natura in quanto natura, vale a dire, la filosofia non esclude nulla. Ora, dobbiamo affermare anticipatamente che, se a livello socio-politico e culturale l’uomo viene soddisfatto alla più alta percentuale possibile (supponiamo che la possibilità della corruzione sia zero) il bisogno della verità, ossia della giustizia e della pace, il livello spirituale, naturalmente non dovrebbe presentare problemi[1]. Il primo livello è legato al cuore dell’esistenza, quindi, riguarda esplicitamente i diritti di tutti gli esseri umani (se dobbiamo discutere sul serio dei diritti umani) e non solo di quelli di alcune collettività[2]. Come sappiamo tutti, i fondatori delle religioni hanno rispettato l’uomo e i suoi diritti; per esempio nella religione cattolica, Gesù, il figlio di Dio, ha dato da mangiare moltiplicando i pesci e il pane. L’altro fatto più importante della religione Cattolica è questa: il rispetto della libertà dell’uomo. Questo si può verificare sia nell’Antico Testamento (per. Es. dopo che ha “peccato” liberamente, “Dio” non distrugge la sua creatura, ma le chiede di assumere la responsabilità dell’atto compiuto e poi, “Egli” non la lascia senza aiuto, e promette di inviare un “Salvatore”) che Nel Nuovo Testamento (Gesù sempre chiede cosa si desidera da Lui, dalla persona che sta di fronte, prima di agire con la propria percezione “divina”; questo “agire” può riguardare la guarigione da una malattia, o dare da mangiare ecc. Egli non esita a rispettare la volontà del soggetto umano. Non ha preteso, usando la sua appartenenza a un “Dio”, di violare la libertà del soggetto umano). Nella religione Buddhista, il Buddha, prima di insegnare, dava da mangiare affermando che lo stomaco vuoto non regge gli insegnamenti. Se è così, senza il rispetto dei soggetti umani che hanno nome e cognome, all’interno dei domini socio-politico-economici e culturali, qualsiasi verità è impossibile. Invece vi sarà sempre un caos che nasconde la realizzazione dei bisogni di un'elite. Cioè, a chi dice: soffrite! Perché è vostro il regno di “Dio”, io farei la domanda: dove sta questo regno e quando si può raggiungerlo? Poiché ho rivolto molte volte questa domanda, posso dire che la risposta solita è: dopo la morte, voi sofferenti (sciocchi ?) avrete tutto. Allora, se è così, coloro che godono e ci fanno soffrire in questo mondo non lo riceveranno? Se questo è vero, come mai, questi ambiziosi che dominano e sfruttano i propri simili in questo mondo pur di avere il potere e il dominio, non pensano a quel “regno di Dio”? È ridicolo, assurdo, contraddittorio alle loro teorie dell’uomo e va contro i cosiddetti diritti umani. Figuriamoci il rispetto per un “Dio” che non si vede, maa cui si  deve credere. Anzi, per la religione cattolica e per i cristiani, Gesù ha detto chiaramente di amare i fratelli come se stesso, perché Egli è nell’uomo, anzi, nei singoli uomini. Se tali sono circostanze in generale, quale verità è possibile?
Partendo dal soggetto umano, a una collettività di diverse grandezze, si pretende di possedere la verità, o si pensa di aver fondato i modi di vivere e di relazionarsi con il sé e con gli altri e con la natura, sulla verità. Ogni popolo confessa di avere la “Verità”. Dimostrano in oltre i legami soprannaturali all’inizio di questi popoli. Ora la domanda giusta sarebbe questa: è possibile una sola Verità? Se è positiva la risposta, è possibile che questa verità unica si rappresenti in modi diversi, nelle diverse parti del mondo poiché ha dato l’avvio alle varie socio-politiche-economico e culturali? Se anche qui la risposta è positiva, non è assurdo pensare un mondo uniforme, per esempio: che esista un’unica lingua, un unica religione, un governo solo, un sistema socio-politico culturale ecc.? Forse queste sono tutte forme di egemonia, di dominazione, di sfruttamento? Cioè, sono solo metodi efficaci, (salvo la diversità naturale proprio perché impossibile cambiare la natura fenomenica) attraverso cui qualcuno può arrivare all’uniformità, sottomettendo e intimidendo la cultura di coloro che non riescono a correre alla velocità della “Ferrari” con una carrozza rotta. In questo modo, è evidente che un sistema socio-politico-economico e culturale non capitalistico del cosiddetto terzo mondo, è soggetto a stati di conflitto interni ed esterni. Altrettanto evidente che questi conflitti sono scaturiti, nutriti e mantenuti da parte della forza socio-politico-economico e culturale occidentale (cfr. il mio articolo su questo blog: dialogo è la sinergia della vita), in vista di profitto e di diventare i capi del mondo intero anche spiritualmente sostituendo il concetto di Dio (monoteista) con il proprio potere, assumendo, innanzitutto e soprattutto la forza interpretativa[3]. Basta fare una ricerca sul come lo Sri Lanka ha vinto la battaglia contro il terrorismo.
Sembra che lo sfondo delle strutture socio-politico-economico-culturali siano basate sui miti che nascondono la verità o le verità agli esseri umani. È possibile affermare che le strutture che riguardano le verità della vita quotidiana dell’uomo non possiedano le verità, ma sono solo i prodotti interpretativi di chi ha il potere come abbiamo già discusso[4]? Se è così, è possibile affermare che la narrazione dei miti si basa su bugie e falsità, ma logicamente e tecnicamente funziona nelle situazioni socio-politico-economiche e culturali in vista di avere il potere e il dominio sugli altri (come scrive Hesse nella storia di “Kubu” il giovane che rifletteva tutto ciò che ha detto il “Mata Dalam” sacerdote che odiava il sole, per avere il dominio su tutti[5])?
Un’altra domanda fondamentale per noi è stata sempre questa: è possibile indicare le vie, i metodi di ricerca, le norme, le leggi per la ricerca della verità? Bisogna precisare brevemente cosa ora intendiamo per verità. Come abbiamo già detto sopra, la verità espressa nella vita quotidiana e quella spirituale sono forse due sfere di un’unica realtà, ma è sempre possibile trattarle separatamente grazie alla capacità “dialettica” dell’uomo. Ci sono poi anche le verità scientifiche (anche se non sono così precise o eternamente valide come ha dimostrato Thomas Kuhn nella sua opera: Structure of scientific revolution) che a loro volta rivendicano il diritto di autonomia nel predicare le verità “create”, modificando la materia all’interno delle situazioni socio-politico-economiche culturali. Queste verità scientifiche prendono inevitabilmente la forma della cultura in cui sono state create.
Infine, ci sono le verità religiose che a loro volta diventano dogmi, verità di fede. Questi sembra che non richiedano una logica, in quanto pretendono puramente un’accettazione di natura passiva da parte del credente. È vero che anche questo può essere una logica; cioè, le religioni presentano i metodi di pregare, per riflettere, come credere, come avvicinarsi alle verità di fede. In questo modo, anche questa diventa una logica basata sulla fede religiosa e, diventa un metodo, una via, che per noi è impossibile. Perché impossibile? La risposta richiede lunghe spiegazioni, ma limitiamo ad un fatto che, pretende, di essere empirico, anche se non sappiamo, come collocarla, quindi, quella quantistica. È vero che uno non può pretendere di provare delle affermazioni religiose, che riguardano la fede, con gli esempi empirici o scientifici. In modo adamantino, la nostra intenzione in questo caso non è provare o negare le verità religiose, ma solo verificare l’importanza del soggetto umano nel conoscere i fatti spirituali o soprannaturali che scaturiscono almeno in parte nell’intelletto (il resto non discutiamo in questa sede). Dunque, se dopo la caduta del muro tra il soggetto ed l’oggetto cartesiano, senza l’uomo (soggetto) le verità di qualsiasi genere non esistono; possiamo ritenere che, qualsiasi verità viene creata da un soggetto o creata da una collettività dei soggetti (per es. oggi vi è una comunità scientifica molto potente) . Nella quantistica, tra soggetto ed oggetto non vi è una distanza, quindi, il soggetto in modo diretto interviene sull’oggetto, prima nell’osservazione poi nell’interpretazione. Di conseguenza, non è più un oggetto puro ma è “un manipolato” (in senso positivo o negativo sempre è una collocazione in una situazione[6]). Se è così, le verità di qualsiasi genere, sono create all’interno delle situazioni socio-politico-economiche e culturali. Tutto ciò afferma che la verità, o le verità non possono scaturire dai metodi o dalle vie create da qualcuno. Così sembra che la verità, se la consideriamo come un’unità, non può essere istituzionalizzata. Se è così, nessuno è proprietario della verità? Nessuno può sapere la verità in modo esauriente? Allora, la verità è un campo di ricerca aperta, senza vie, metodi, istituzioni, organizzazioni?
Una conclusione sarebbe questa: l’uomo dovrebbe essere libero da questi ostacoli per raggiungere la verità (cfr. il nostro articolo su questo blog: Dialettica e libertà). Un altro fatto sarebbe la natura relazionale dell’uomo; quindi, nella “logica del riconoscimento”. In questo modo congenito, l’uomo comincia a riconoscere, prima se stesso poi comincia a narrare in modo autentico ciò che ha compreso. Forse, lì c’è la verità? Una cosa è certa, quando uno comincia a narrare, attirando l’attenzione degli spettatori o/e ascoltatori, ha nelle sue mani il potere e il controllo delle menti e dell’immaginazione (senza tener conto quanto è la lunghezza del tempo dell’influenza ecc). Se è così, allora, di quale verità noi stiamo parlando, sperando, dipendendo e difendendo alle volte anche fanaticamente?


[1] Quest’affermazione sembrerebbe alla prima vista, una fatta senza riflettere e senza tener conto altri fattori relativi; invece, se a livello fondamentale esistenziale, quindi, nella vita quotidiana, l’uomo è soddisfatto, solo, in quell’istante può scaturire una sorgente pacifica verso a un livello spirituale. Altrimenti, uno/una deve lottare per la propria sopravvivenza. E lì ci troviamo troppi aggettivi che forniscono all’uomo comune, i motivi per cui sacrificarsi la propria vita e sopportare tutti i disagi, i dolori; per esempio, martire, eroe, cavaliere, patriota ecc.
[2] L’assurdità della politica dei paesi che discutano e poi pretendono a promuovere i diritti umani sarebbe questo: proprio non riuscire a liberarsi dalle proprie paure, pregiudizi in senso negativo, e in modo particolare non avere la volontà di rispetto alla libertà e alla giustizia proprio perché sono dominate dai desideri primitivi dell’esistenza, quindi, dalla volontà di dominio. I diritti, teoricamente, pretendono di essere tutti gli esseri umani (anche se noi siamo convinti che i concetti astratti di questo genere non dicano in concreto nulla e solo “flatus vocis”), ma in realtà maggior parte degli esseri viventi che vivono nei diversi parti del mondo, non sanno nulla di questi diritti, eppure anche loro vivono relativamente alle loro convinzioni della vita e socio-politico-economico e culturale. Cosa che non funziona? Quali sono i veri problemi? Dove siamo sbagliati? Bisogna discutere, approfondire e dialogare sinceramente.
[3] «I modelli linguistici, la scelta delle parole, le espressioni e i gesti vengono plasmati in un sistema semiotico manipolato da politici, da leader religiosi, e da capi giuridici per creare i miti che servono a consolidare la struttura di potere [Questo metodo funziona in modo efficace, perché, come sostiene Roland Barthes]: Il compito del mito è quello di svuotare la realtà: [cioè] una percettibile assenza delle cose». Zipes Jack, Speaking out. Storytelling and creative Drama for children, trad. Ita., Edizioni conoscenza, Roma 2008, pp. 24-25.
[4] Cfr. Hermann Hesse, Der Waldmensch, Trans. Eng. Bantam, New York 1995, p. 190.
[5] Cfr. Hermann Hesse, Der Waldmensch, Trans. Eng. Bantam, New York 1995.
[6] Come abbiamo trattato nella nostra tesi di dottorato, la complementarietà tra la retorica ed ermeneutica è evidente in qualsiasi verità umana.

Tuesday, 3 March 2009

CHI SONO I FILOSOFI


Indice

premessa

Il punto di partenza

Il nesso tra la filosofia e la vita

Il carattere precipuo dell’uomo

Filosofia e libertà

L’oggetto della filosofia

La materia sconosciuta dipende dall’uomo

conclusione

premessa

La filosofia è squisitamente umana. Il termine “filosofia” deriva dalla lingua greca: “philos + sophos”, quindi, designa l’amore per il sapere. D’altra parte, anticamente la filosofia è stata considerata come il sapere unitario e massimo che un uomo possa raggiungere. Quindi, questo massimo livello è nominato dal termine “saggezza”. La saggezza a sua volta non è solo teorica ma è insieme teoria e pratica, cioè, la phronèsis, quindi, come ha definito Aristotele, è la “saggezza pratica”. La filosofia non è un attività umana destinata a vagare nelle nuvole, ma è la vita stessa dell’uomo in quanto uomo. Se qualcuno tenta di dividere la capacità di “pensare” dal “vivere”, questo è innanzitutto e soprattutto una contraddizione, perché, senza un processo complesso dei dati con la capacità relativa del giudizio, uno non può esprimere qualcosa per far capire l’altro. Quindi, per separare il “pensare” dalla vita, occorre pensare deliberatamente. È questo è un processo di disumanizzazione. Come abbiamo dimostrato anche nella nostra tesi di dottorato, «l’uomo, non può non pensare e non può non comunicare».

Il termine in lingua Sanscrito “darshana”, significa “drushyathe anena ithi darshanam”, ossia, “da questo abbiamo visto. Ciò che intendiamo come filosofia in occidente, diventa in Sud Asia[1], “la scienza del vedere”. Non c’è nulla da amare od odiare, ma solo molto da “vedere”. L’arte del vedere, ossia, “darshnaya” ha due livelli complementari, “kriya” e “gnàna”, ossia etica ed epistemologia-ontologica e altre tipologie. Secondo il nostro avviso, partendo dal concetto di filosofia e darshana, la vita dell’uomo, in quanto “avente logos”, dovrebbe essere fondata sulla capacità dialettica e critica. In questo modo possiamo unire ciò che è diviso nella filosofia in occidente, il soggetto con l’oggetto[2]. Anche se si tratta su un piano generale, di un atto dinamico che riguarda la vita umana, la filosofia e il darshana sono due modalità sul piano teorico-pratico. Per quanto riguarda le finalità della vita pratica: è da qui che scaturiscono le “visioni del mondo”. Il fatto da notare è che sia la filosofia sia il “darshana” sono inseparabilmente legate alla vita pratica dell’uomo.

Il punto di partenza

Un filosofo fondamentalmente procede ponendosi delle domande su se stesso e sulla propria esistenza. In questo modo di procedere, tutto ciò che esiste fenomenicamente e ciò che uno può pensare e sentire sui piani particolari, vale a dire tutto ciò che per l’uomo è possibile (incluso anche il termine possibile) viene sottoposto alla discussione. In questo modo non vengono risparmiate, partendo dalla propria esistenza, la religione, la civiltà, la cultura, la tradizione e ciò che si conosce e i modi di conoscere e la validità di ciò che si conosce ed è possibile conoscere ecc. Se è così, allora, la filosofia non si dovrebbe fermare ad inginocchiarsi ai sistemi chiusi e assolutamente perfetti e totalitari che sono a loro volta destinati a sparire dal pianeta terra[3]; invece con il proprio spirito dialettico e critico, la filosofia pone le domande su tutto ciò che è possibile proprio nel nome della verità. La verità secondo Socrate è «il consenso tra le menti»[4].

Il nesso tra la filosofia e la vita

Noi sosteniamo un legame stretto tra il pensare e il vivere, per quanto riguarda l’uomo. In modo più preciso, consideriamo l’insieme della filosofia con la vita umana come, una cosa sola[5]. L’uomo in quanto uomo è un ricercatore delle verità ed egli si pone ininterrottamente domande secondo la propria virtù e ne cerca le risposte relative[6]. Con tutto ciò la filosofia diventa la catalisis del pensiero e così essa soggiace alle varie forme e ai modi di pensare. L’uomo in quanto comunicante vive sulla base della relazionalità, non può non comunicare. Le frazioni di conoscenza necessariamente dovrebbero essere comunicate con il metodo descrittivo, secondo le proprie capacità. Così nascono e si sviluppano il racconto, la storia, la conoscenza e la saggezza pratica nella comunicazione.

Il carattere precipuo dell’uomo

Il carattere precipuo dell’uomo è: lui/lei non può, non comunicare.

Spieghiamo. La comunicazione è lo sfondo e l’esistenza dell’universo. Nulla può esistere senza le relazioni comunicative. Una comunicazione di questo genere, non è necessariamente coscienziale, emotiva ed affettiva o intellettuale, cioè, una tipologia riservata agli esseri umani[7]. Basti pensare ad una molecola d’acqua: due molecole d’idrogeno con una di ossigeno, grazie ad una speciale relazione, formano una molecola d’acqua. I naturalisti hanno intuito le traiettorie degli elementi e, nell’incontro di due elementi, una interferenza violenta da parte di un terzo elemento (forse intendevano la vita o lo spirito?). Noi per quanto riguarda l’elemento unificatore, portatore e sostenitore, riteniamo importante il concetto di catalisis. Il concetto di catalisis, a sua volta, vibra solo sui piani complementari e sulle sinergie dell’esistenza e anche del pensiero umano. Per noi un uomo è simile a una pianeta, a un mondo vivente, quindi, comunicante. L’avente logos, ossia l’uomo, deve guadagnarsi la propria libertà dall’arte della contemplazione. In questo modo l’avente logos riesce a “creare” dimensioni diverse, relative alle proprie virtù. Precisiamo che, con il concetto di contemplazione, intendiamo il modo dialettico e critico di un soggetto che viene in parte guidato dalla propria coscienza, quindi, dalle forze della retorica ed ermeneutica del pensiero. In questo processo, vi è un'altra parte che non dipende dal soggetto cosciente, che proprio per causa della non consapevolezza, interviene in modo esplicito[8] facendo da catalisis per una visione dialettica del proprio mondo.

Filosofia e libertà

Ora, un filosofo ponendo delle domande allarga, secondo noi, l’orizzonte della visione del mondo degli esseri umani. Anzi, noi riteniamo che non può esserci alcun uomo (non importa quale sia la classe sociale o i gradi accademici o la forza intellettuale o il potere e il denaro che ha) che non abbia filosofato almeno una volta nella propria vita, cioè che non si sia posto delle domande riguardo alla propria esistenza e/o l’esistenza degli altri. Il pensare è, grosso modo, la nostra esistenza. Ecco perché, Ernst Bloch, dice che dalla cultura e dalla civiltà gli esseri vengono imprigionati nei sistemi. Questi sistemi a loro volta diventano sovrastrutture che tolgono, ossia sostituiscono, la libertà degli esseri umani. Ora questo fatto è evidente nel nostro mondo fatto di ipocrisie: senza la guerra oggi la pace non può esistere. D’altra parte, senza le guerre, l’economia dei paesi sviluppati non può tirar avanti; essi vendono, cioè, le armi ai propri eserciti e allo stesso tempo ai propri nemici. Allora, un filosofo inteso come uno che sente per natura e anche per gli studi compiuti (non è indispensabile), esso dovrebbe pensare e agire nella libertà, con la libertà e per la libertà (non intendiamo una forma di anarchia, né liberalismo, né libertismo). I filosofi non devono essere sottomessi a nessuno, se non al rispetto della libertà altrui, al rispetto e alla giustizia (senza cadere nei relativismi). Vale la pena di ricordare l’unico esempio che noi abbiamo per ora: il filosofo Socrate.

L’oggetto della filosofia

L’oggetto della filosofia dovrebbe essere l’uomo in quanto uomo, che cerca la verità e che ha un destino per la libertà, nella libertà. Quest’ultima a sua volta è legata inseparabilmente alla comunicazione, non in senso moderno della banalità delle comunicazioni, ma in quanto “avente logos”, che è destinato alla vita relazionale. In questo contesto l’uomo estende se stesso partendo dai parametri dati, quindi dal socio-politico e culturale, verso il cosmo. In questo modo espande le dimensioni del mondo, cioè di ciò che circonda l’uomo. In una filosofia dialettica, o dialogica, la conoscenza immutabile o dogmatica non ha una funzionalità, invece la conoscenza che muta, come dice Bachelard la conoscenza «discontinua», produce la novità[9].

La materia sconosciuta dipende dall’uomo

Se noi non sappiamo cos’è la materia, vale a dire cos’è questa sostanza come tale, a parte dei fenomeni materiali che hanno la loro materia costitutiva, noi non possiamo dire nulla sulla materia. Ma forse come pensano tanti, grazie alla natura fenomenica fatta forse da questa cosa che chiamiamo materia, possiamo noi comprendere qualcosa della sua natura? Ci sembra di no, non avendo un’idea precisa di che cosa sia questa sostanza materiale. Così tutto ciò che pensa e si afferma di questo concetto, non sembra sbagliato ma funzionante e a loro volta dipendente dal logos umano: «[…]gran parte di ciò che noi sappiamo lo dobbiamo alle parole della […]lingua, che altri hanno parlato prima di noi. Senza di esse la nostra intelligenza non sarebbe maggiore di quella di altri mammiferi superiori. Senza di esse non sapremmo costruire i linguaggi e le procedure della scienza. […]. In questa prospettiva i diversi ambiti scientifici non si confondono davvero tra loro, anzi si ordinano, ma in modo appropriato, iuxta propria principia, a seconda del loro maggiore o minore avvicinarsi alle condizioni di libertà discorsiva e di precisazioni meramente locali della comune attività verbale»[10]. Nonostante questa lacuna per quanto riguarda la materia, noi ammettiamo il principio della funzionalità delle leggi fisiche e chimiche create dagli uomini. Questo dovrebbe funzionare in uno sfondo di rispetto e di giustizia: «Expermentation must give way to argument, and argument must have recourse to experimentation»[11]. Perché l’autore di tutto è l’essere umano in quanto «avente logos».

conclusione

Noi pensiamo che all’origine la “creatività” e la capacità innovativa in tutti i campi, siano catalizzate dalla volontà e in parte dalla predisposizione della persona a sognare. Come sostiene Aristotele, l’uomo è capace di perfezionare ciò che è per lui pensabile e esperimentabile; quindi, colui che è capace d’immaginare mondi diversi, cose diverse, cercando di combinarle nella propria immaginazione in vario modo, sarebbe un filosofo? Sembra di sì. Basti pensare alla “nuova funzionalità” (da quasi venticinque anni), anzi, al ritorno della filosofia socratica, come maieutica della verità (quindi, un filosofo non è colui che sa tutto dell’altro, in modo esauriente) nella «consulenza filosofica» ossia, « teoria-pratica»[12]. Oggi un filosofo, dovrebbe essere in grado di riorganizzasi secondo i nuovi modelli, nella vita su qualsiasi punto pratico. Il carattere indispensabile del filosofo è la capacità di formulare le domande secondo le “situazioni” e trovare insieme le “interpretazioni” nuove e pratiche. Bisogna ora precisare la nostra posizione sulla conoscenza e sull’ontologia; dunque, per noi sono due discipline strettamente connesse. Anzi, sono complementari. Così, la conoscenza di un filosofo pratico, sarebbe quella basata sui fini (non intendiamo finalismo)[13]. Sembra che si stia affermando un modo unico di leggere i propri sogni attraverso tutte le discipline, dalla matematica alla filosofia, dalla teologia all’arte, dalla scultura alla pittura, alla fisica, alla biologia. Bisogna però mantenere una comunicazione non ambigua. Oggi da un filosofo si richiede la conoscenza dei linguaggi diversi e delle regole interne proprie delle diverse discipline. Un esempio di questo genere sarebbe Leonardo da Vinci.

Un filosofo per necessità oggi dovrebbe essere un ricercatore, come abbiamo detto poc’anzi, che contempla ciò che a lui/lei è possibile pensare e sperimentare. Al termine “contemplazione” noi non diamo un significato religioso; intendiamo invece che sia il modo dialettico e critico di un soggetto guidato in parte, dalla propria coscienza, quindi, dalle forze della retorica ed ermeneutica del pensiero. D’altra parte ci sono altri fattori imprevedibili ma verificabili in un “dopo” immediato. Cioè, in questo processo, che non dipende dal soggetto umano in modo esplicito coscienziale[14] ma da catalisis per una visione dialettica del proprio mondo,occorrono catalizzatori come, cultura, tradizione, storia, memoria, civiltà ecc. È interessante ricordare….. «Un idea non è niente altro che un idea, un semplice fatto di conoscenza, non produce niente, non può niente; essa agisce solo se è “sentita”, se c’è uno stato affettivo che l’accompagna e se risveglia tendenze»[15].

Ora possiamo tirar fuori un'altra conclusione: il dialogo tra i filosofi è indispensabile in nome della comunità umana, col rispetto e nella giustizia. Così i mondi possono essere riconosciuti e le dimensioni e le visioni del mondo vengono allargate. La filosofia non rimane sul piano provinciale e ripetitivo[16].

Ora possiamo dire qualcosa sulle qualità preliminari di un ricercatore: egli ha una grande curiosità «che ha per oggetto la ricerca della verità». La curiosità «è il motore di ogni vita intellettuale»; dice Einstein a questo proposito «Non ho particolari talenti, sono solo appassionatamente curioso»[17]. Socrate nel Cratilo sostiene tre caratteristiche di un ricercatore: «l’interesse per la conoscenza, la benevolenza reciproca e l’intenzione di non ingannare. […]. Vero è il discorso di chi dice che le cose come sono, falso quello di chi dice le cose come dovrebbero essere [o come vorrebbe che fossero]. Secondo Socrate, il discorso vero si genera dall’incontro di una mente con un'altra mente, in un rapporto che rispetti tre requisiti essenziali: conoscenza, bene, verità. Secondo Socrate, dunque, il criterio di verità è “il consenso tra le menti”»[18]. Vale a dire, come abbiamo detto poc’anzi, nel dialogo noi “creiamo” la conoscenza. Se è così, la conoscenza ha, come influente diretto, le tradizioni, la cultura, la politica e altri fattori particolari. Allora, nell’ontologia noi trattiamo ciò che esiste secondo gli obiettivi, i fini di un soggetto (può essere anche un concetto collettivo). Senza questa noi non possiamo discutere della conoscenza. In questo modo, ritornando al nostro argomento del nostro articolo, possiamo dire che un filosofo, è un “creatore” e un “innovatore” della conoscenza.



[1] Sud Asia costituito da sette paesi: India, Pakistan, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Sri Lanka e Maldive.

[2] Cfr. Bhagavathgeetha, 17/3.

[3] Cfr. Berlin Isaiah, Freedom and Its Betrayal, Princeton University Press, Princeton 2002, pp. 103-104.

[4] Platone, Cratilo.

[5] Ciò che noi definiamo come pensiero e pratica, per noi sono due forme dell’unica dimensione, quindi del movimento, cambiamento psico-fisico e spirituale. Il movimento psico-fisico spirituale di per sé, nello status indefinito dai concetti (effetto complesso del socio-politico e culturale), è solo nei movimenti, insensati, indeterminati che sono naturali, spontanei. Se è così, la vita umana è il modo di cercare il senso per i processi individuati di volta in volta (coscientemente, incoscientemente o secondo altri fattori) che sono in perenne movimento. Su questo punto, bisogna ammettere l’importanza della “formazione” ad una mentalità aperta e flessibile della persona all’interno di una data cultura. Vale a dire, senza questa prima impostazione e definizione dei processi naturali psico-fisici, non sarebbe possibile un’identità personale, culturale e così non ha significato la ricerca del senso o della verità.

[6] Se ciò che ha affermato Socrate è giusto: cioè, la verità è il «consenso tra le menti», noi oggi possiamo comprendere ciò che accade nel mondo, cioè, che coloro che hanno un qualsiasi potere, decidono cosa sia conveniente da considerare come verità. Questo fatto noi lo vedremo nell’articolo in cui parleremo dell’ermeneutica che esige l’autorità. Allora, a questo punto, la gente comune o semplice, ha soltanto una possibilità marginale di essere accolta come formatrice e ricercatrice della verità. Non ha voce. Oggi i mezzi di comunicazione sono nelle mani dei potenti e sono controllati dai loro interessi. Noi vediamo le società così dette dei civili d’oggi come luoghi delle ipocrisie. La gente comune deve comunque mantenere tutto uno stato lavorando con le proprie mani. Ci sono oggi poi il cinema, il teatro, la musica e altri tipi di divertimenti che, utilizzati per raccontare fiabe morali, per tener sottocontrollo l’emotività della gente con immagini di eroi moderni, fanatici personaggi del cinema, dei giochi, perfino così detti criminali, diventano anche una trappola per la gente semplice. Per esempio nel cinema, l’uomo comune, un povero, diventa un eroe che salva un presidente. Così nei pensieri nei sogni i semplici pensano d’essere eroi. In realtà loro sono solo gente comune che dovrà sostenere tutte le spese dello stato (cfr. Ernst Bloch, Il principio della speranza, I-III volumi e di Herman Pleij, Sognando la cuccagna). Inoltre il paradiso delle religioni non è nel al di là ma è legato al presente, alla vita, qui: hic et nunc. Così il povero sogna di essere consolato nell’al di là, mentre il potente e il ricco vive già su questa terra, allo spese del povero che lavora un paradiso. Basti pensare che oggi qualsiasi attività umana è interconnessa con l’economia e con la politica, le quali a loro volta si fanno pagare anche dai cadaveri.

[7] Noi non ammettiamo nemmeno una coscienza universale che fa da catalisis per l’esistenza.

[8] Precisiamo che su questo punto non intendiamo alcun fenomeno misterioso e/o religioso; sono semplicemente i fenomeni naturali che a loro volta rimangono ancora ignoti a noi esseri umani, come per esempio un tempo erano a noi ignoti alcuni batteri e virus.

[9] Bachelard Gaston, The Scientific spirit, trans. Arthur Goldhammer, Beacon press, Boston 1985, p. 54.

[10] De mauro Tullio, Scienze inumane e scienze inesatte, in, Sapere, bimestrale, febbraio 2008, anno 74, numero 1(1055), pp. 72-76.

[11] Bachelard Gaston, The Scientific spirit, trans. Arthur Goldhammer, Beacon press, Boston 1985, p. 4.

[12] Cfr. Rabbe Peter B., Philosophical counseling: theory and practice, Greenwood publishing group, UK 2001.

[13] Noi non intendiamo un finalismo sul piano biologico. Non discutiamo di un creazionismo o un evoluzionismo; invece noi discutiamo sul piano conoscitivo. Innanzitutto sosteniamo che la conoscenza sia squisitamente umana. È una “creazione” umana. In questo senso, epistemologia ed ontologia sono strettamente connesse in modo complementare. Sul piano umano, dobbiamo dire chiaramente, che essendo l’uomo un essere libero, oltre le conoscenze tramandate dalle tradizioni e dalle culture, non vi sono specie prevedibili. Dunque, non ci sono le conoscenze determinate, organizzate da qualcuno invisibile. Ripetiamo di nuovo la posizione aristotelica, che sostiene l’importanza del soggetto umano come intenditore della perfezionabilità di tutto ciò che è perfezionabile. In questo modo il finalismo o la scienza moderna non soddisfano la nostra posizione sulla epistemologia-ontologica. Questa è a sua volta legata al concetto di infinito pensabile ed impensabile. Non ammettiamo un fine al di fuori della consapevolezza umana. Non ammettiamo neppure l’esistenza d’un mondo oggettivo al di fuori della coscienza umana. Ciò che diciamo noi, non vi è un finalismo che sostiene la subordinazione dei mezzi rispetto ai fini consapevoli. Sosteniamo innanzitutto e soprattutto, la posizione dell’essere umano di Kant; cioè, l’uomo non è un mezzo, ma il fine, anzi, possiamo dire, l’uomo libero, è fine a se stesso. Non c’è un intelligenza come sosteneva Platone che a sua volta dirigeva tutto «nel modo migliore». Invece riteniamo l’importanza di una causalità sana che procede insieme con i fini nella conoscenza. Cioè, un fine sul piano conoscitivo, è sempre una conseguenza e non nasce dal nulla. Per il concetto di causalità non intendiamo una causa efficiente aristotelica, che a sua volta crea secondo il suo piano universale deterministico, o il Dio-architetto di Malebranche, di Newton, di Leibniz. Kant invece propone il giudizio «riflettente» contro il determinismo matematico. Per lui argomento fisico-teleologico non ha valore per dimostrare il fine (argomento di san Tommaso). Non riteniamo nemmeno quel finalismo immanente di Hegel. Per noi l’uomo è capace di intendere il “vero” rispetto alla propria virtù. Questa intenzione, non viene attuata necessariamente nella vita quotidiana, proprio a causa della convenienza circostanziale (dominata da: paura, parzialità e piacere).

[14] Precisiamo, che a questo proposito non ci riferiamo ad alcun fenomeno misterioso e/o religioso; si tratta semplicemente di fenomeni naturali che a loro volta rimangono ancora ignoti a noi esseri umani come un tempo erano, per esempio, ignoti a noi alcuni batteri e virus.

[15] Anna Curir & Felice Perussia, Tipi di laboratorio, in Rivista bimestrale, Sapere, anno 73°, n. 5 (1052), edi. Dedalo, Agosto 2007, pp. 72-79.

[16] Come per esempio lo studio delle università d’oggi è, ripetitivo. Non c’è lo spazio per la “creatività” o per l’innovazione. Tutto, come dice nella prefazione di Isola dei pinguini, Anatolia Franz: i ricercatori, devono solo copiare ed incollare. Il nuovo fa paura. I ricercatori devono ricordare ciò che sanno tutti e basta. Così riceveranno applausi, meriti, regali, medaglie ecc. altrimenti riceveranno tutte le disgrazie possibili. Una cosa oggi è certa; se un ricercatore (disgraziato!) che porta il nuovo viene condannato a morte - e questo avviene in Europa o in USA - prima o poi lo si farà santo e gli si presenteranno anche le scuse.

[17] Anna Curir & Felice Perussia, Tipi di laboratorio, in Rivista bimestrale, Sapere, anno 73°, n. 5 (1052), edi. Dedalo, Agosto 2007, pp. 72-79.

[18] Anna Curir & Felice Perussia, Tipi di laboratorio, in Rivista bimestrale, Sapere, anno 73°, n. 5 (1052), edi. Dedalo, Agosto 2007, pp. 72-79.




ajithrohanjtf@gmail.com

Wednesday, 4 February 2009

EDUCAZIONE, LIBERTÀ E GIUSTIZIA - By Ajith Rohan J.T.F., Rome


Ajith Rohan JTF

මිනිසා ස්වභාවයෙන්ම දැනුම නිර්මාණය කරන හා දෙන ලද ඕනෑම ප්‍රපංචයක හෝ අදහසක නව මාන දකින එකම සත්වයා වෙයි. අනෙක් සුවිශේෂ ලක්ෂණ අතර මිනිසාගේ තමා සහ ලෝකය සමග කරන සන්නිවේදන-සම්බන්ධතා වෙනත් අයුරකින් කිවහොත්, සිතීම, පැතීම, ඒ අනුව හෝ අවස්ථාවට අනුව ක්‍රියා කිරීම (චලනය, වෙනස්වීම, රූපාන්තරණය) සියලු දේට මුලික වේ. සන්නිවේදන-සම්බන්ධතා මුලාකෘත පෙළඹවීම් වශයෙන් මිනිසා තුල ඇත. ඒවා සාපේක්ෂ සංස්කෘති සහ ශිෂ්ටාචාර ඔස්සේ සීමා සහ හැඩ ලබා රිත්මානුකුල එනම් සියලු ස්වභාවික චලන සාපේක්ෂ සදාචාර නීති, රීති, පුරුදු, විශ්වාස ආදී මං ඔස්සේ කෘතිමාකාරයෙන් නමුත් මිනිසාට ප්‍රසන්න සහ හානි අවම කරන අයුරින් ක්‍රියාත්මක වීමට උදවු වේ. මේ අනුව, මිනිසා සංස්කෘතික පරාස තුල දැනුම නිර්මාණය කරන බව පැහැදිලි වේ. එසේම, මිනිසාගේ ජීවිතය පළමු සහ අවසාන පාසල වේ. නමුත්, මිනිසාට සංස්කෘතියෙන් සහ ශිෂ්ටාචාරයෙන් තොරව මිනිසෙකු විය නොහැක. ඒ ආකෘති සෑම පුද්ගලයෙකුටම සිය නිදහසට සහ සොයන සහ පතන දේට අනුව සාපේක්ෂ දිශානති වෙත යාමට උදවු වේ. මේ අනුව, මිනිසාගේ නිදහස ආරක්ෂා වන අධ්‍යාපන ක්‍රම පමණක් මිනිසාට වැදගත් වේ. 

Abstract:

Education, freedom and justice
We, human, by nature are “creators” and “innovators” of new knowledge. It is also necessitated by our very nature of relation, and communication. This is a universal principle which we share with the rest of the existence (without considering the visibility, invisibility, matter-energy and quality of existence). But the human communication is something peculiar than any other relation we can individuate in the universe. Human beings, in any level “create” relative and relevant knowledge relative to his/her own inner and outer nature. The existence itself is a school for man. Human beings necessitate a long period of education and formation. Nevertheless, the education should be based on respect and on justice, otherwise, man becomes an automat. 

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EDUCAZIONE verso LIBERTÀ E GIUSTIZIA 

Conoscenza, privazione ed esistenza 

L’uomo, da quando ha cominciato a esistere in qualsiasi luogo su questa terra, ha avviato il processo della conoscenza partendo dalla propria coscienza, dall’esistenza dell’altro e dalla natura. Secondo la nostra visione del mondo la conoscenza inizia con il principio della “dipendenza”. Perché la dipendenza? Chiaramente perché nulla è autosufficiente. Tutto dipende da sé e dalle cose rilevanti della natura che circonda. Il sé e ciò che relativamente esiste sono perennemente in movimento, mutamento e cambiamento. L’esistenza è necessariamente un modo di comunicare e relazionare: per esempio, tra due molecole d’idrogeno e una di ossigeno nella comunicazione-relazionale formano una molecola di acqua. Quindi, la comunicazione-relazionale tra la natura vegetale, altri esseri viventi e esseri umani sta sulla base della vita sulla Terra. In questo modo possiamo notare 2 dimensioni importanti: dipendenza e comunicazione-relazionale. Queste dimensioni funzionano necessariamente in modo complementare.      
  
Or dunque, possiamo notare inoltre altri concetti che spiegano meglio questa situazione esistenziale della dipendenza: la natura imperfetta, la privazione, la necessità, la curiosità, la sete per capire e per conoscere. La vita degli animali rispetto agli esseri umani è determinata. Essi non hanno bisogno di scoprire nulla. Si limitano a ciò che disponibile per natura. La privazione per gli animali diventa la cessazione della loro esistenza. Ma gli esseri umani sono dotati di alcune capacità ben precise. Grazie a queste facoltà dinamiche, l’uomo è in grado di superare le privazioni e imperfezioni della natura e della propria vita e vivere in una dimensione particolare ove la dipendenza, ossia la comunicazione-relazionale, è stata trasformata in esistenza umana.

La conoscenza e l’esistenza   

La conoscenza si comincia dai bisogni primari degli esseri umani (alimentazione, abbigliamento, abitazione e cura). I bisogni spirituali in generale (non  necessariamente religiosi comunque un elemento rilevante della natura) sono legati alla dimensione complessa della dimensione psicofisico-emozionale. Ora, comprendiamo la struttura elementare degli esseri viventi, cioè, la vita individuale, sociale, emotivo-affettivo, procreazione e morte. Queste dimensioni a loro volta creano le dipendenze a ragnatela. Perfino l’ameba che ha per natura la procreazione autonoma, ha bisogno del cibo e un ambiente adatto costituito da elementi diversi e rilevanti per la propria esistenza. Da tutto ciò che abbiamo visto, possiamo dedurre due modalità di conoscenza: rilevante naturale e critico-creativo.

Il primo tipo, cioè la conoscenza relativamente e necessariamente strutturata in ciascun essere vivente è congenita(analogamente si può dire data come un sistema operativo di un computer). Questa conoscenza è relativa. L’esistenza relativa con conoscenze congenite è già un modo naturale di insegnare da parte della natura rilevante. Così possiamo notare che qualsiasi esistenza è costituita da elementi impensabilmente e indicibilmente vari e per la loro funzionalità è dotata di relativi meccanismi di comunicazione-relazionale. Ciò vuol dire che ciascun elemento esistenziale contiene già di per se stesso le informazioni per quanto concerne la comunicazione-relazionale, ossia dell’esistenza. In questo modo possiamo affermare che la vita è naturalmente la scuola per eccellenza della comunicazione-relazionale. 

L’uomo e la conoscenza   

Abbiamo visto che la natura è costituita da elementi diversi per forme e funzionalità. Questo vuol dire che la differenza qualitativa, la diversità costitutiva e quantitativa sono la fonte della conoscenza. Eccetto gli esseri umani, tutto il resto del regno animale ha la conoscenza indispensabile congenita. Inoltre, hanno bisogno di pochi minuti per essere indipendenti nel movimento ed eventualmente altri brevi periodi (rilevanti) per raggiungere la piena autonomia. Diversamente da questa natura l’uomo nasce come un essere inetto. Ha bisogno di una formazione molto lunga e di un costante e progressivo processo di adattamento al proprio ambiente e alle situazioni. In questo modo, ogni essere umano diventa relativamente autonomo nella sua dinamica non immediatamente o dopo una certa formazione della scuola o/e altri istituti di formazione ma lungo il periodo della sua esistenza. Un essere umano impara e crea il sapere lungo tutto il periodo della sua esistenza.

Il metodo della creazione della conoscenza

L’uomo per natura è determinato a “creare” le nuove conoscenze rilevanti e relative. Lo fa partendo dal proprio sé e dall’ambiente circostante. Noi a questo punto ricordiamo per rispetto l’affermazione di Aristotele per quanto concerne questa natura rilevante di creare conoscenza; dice lo Stagirita che la natura per sé è perfetta, ma perfezionabile per continuum da parte degli esser umani. Il metodo che noi abbiamo riconosciuto è quella della alternativa che a sua volta è costituita dalla visone dialettica e creativa (il nostro libro scritto in lingua inglese su questo argomento e metodo sta per finire, quindi, non approfondisco in questo breve articolo). In questo modo, dunque, possiamo comprendere la visione critica del mondo da parte degli esseri umani per creare eventualmente le nuove conoscenze in vista di migliorare la vita umana sulla Terra e nell’universo.

Essere limite e la possibilità della conoscenza.

Ogni essere nel mondo ha un’identità. Questa identità è costituita dalla forma, dalle qualità attive e potenziali e dalla quantità. Questa caratteristica formale (limite-forma) facilita l’identificazione delle diverse dinamiche attive e potenziali di un essere (di qualsiasi tipo incluso gli elementi chimici). Ogni essere è un mondo attivo e ha le potenzialità relative da scoprire. D’altra parte ogni elemento ha una dinamica (dinamica = cambiamento, mutamento e movimento) propria. Ora, come abbiamo detto sopra la “dipendenza”, scaturisce dalle “privazioni” relative dei soggetti. Abbiamo detto anche la natura è perfetta ma perfezionabile. D’altra parte nulla è autosufficiente. Tutti hanno bisogno di qualcosa dagli altri e dall’ambiente. In questo modo, l’esistenza sulla Terra è il modo più perfetto per creare le nuove conoscenze e mondi possibili.

Che cos’è l’educazione?

Il termine italiano ha il suo senso preciso della formazione metodico comportamentale, quindi, dell’etica e della morale. Ricordiamo l’osservazione di Hobbes: nella dinamicità impulsiva gli esseri umani come tutte le altre cose possono creare liberamente gli scontri violenti. Per questo Hobbes propone una figura paterna come Leviatano (paternalismo politico). Invece, se gli individui sono formati nella famiglia, nella comunità e dalla società di appartenenza con l’etica del rispetto reciproco, cioè, il primo passo inevitabile per una società democratica, tutto risolve con più facilità. Si possono aggiungere alla formazione anche delle norme morali relative a vari istituti dell’area geografica (religione, tradizione, civiltà ecc). In questo modo ciascun individuo viene riconosciuto per quello che è. L’educazione è dunque la piattaforma più importante per ciascun individuo per vivere la propria dinamicità col rispetto a sé, agli altri e alla natura. D’altra parte, l’etica del rispetto qualitativamente universalizza la vita dinamica della persona con gli atteggiamenti democratici. Vale a dire, educazione al rispetto reciproco è l’unica strada per il nuovo umanesimo mondiale.    

 Perché l’educazione (etica)?                                  


La natura, inclusa quella gli esseri umani, è dinamica. Con il termine dinamico noi intendiamo il movimento, il mutamento, il cambiamento dei fenomeni. Come ha notato Thomas Hobbes prima di scrivere la sua opera principale “Leviathan”, nel movimento dei fenomeni elementi e corpi s’incontrano e scontrano e fanno i danni a vicenda. Così anche gli esseri umani nel loro ”stato naturale” impulsivo fanno lo stesso. Quest’osservazione di Hobbes è importante e rilevante nella formazione e nell’esistenza. L’uomo nella comunicazione-relazionale dovrebbe sapere necessariamente rispettare limiti propri, altrui e della natura. Come abbiamo visto la comunicazione-relazionale è costitutiva  della nostra esistenza, ma abbiamo bisogno anche di regole, norme, usanze, tradizioni ecc per vivere con meno scontri. D’altra parte, essendo dipendenti dagli altri abbiamo bisogno degli altri quindi, abbiamo bisogno dell’educazione. Aristotele dice che se uno è autosufficiente dovrebbe essere o una belva oppure un dio. 

WATER - Man, The Narrator. The protagonist of the Auto-biographical story.

WATER - Man, The Narrator. The protagonist of the Auto-biographical story.
"No man, therefore No world". Man is the creator of his world within that so-called "natural world".