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Towards a Complementary Humanism - save humanism and human world - by Ajith Rohan J.T.F.
Common Objective – "Save humanity and the human world." By "human world," we refer to the "man-made world...

Sunday, 25 January 2009
LA DIALETTICA E LA LIBERTÀ

Wednesday, 7 January 2009
GIORNALISMO RESPONSABILE
Prologo
Scrivo quest’articolo ai miei amici giornalisti, a chi ha l’intenzione di entrare in questo campo e in modo particolare alle persone che manipolano le informazioni, positivo o negativo.
1. Libertà della stampa e democrazia
Lo sfondo di qualsiasi discussione umana, oggi, dovrebbe essere la democrazia. Non ci sono gli stati pienamente democratici in questo mondo e non ci saranno mai. In senso pieno o assoluto la democrazia è uno stato “utopico”, in parte come quello dei comunisti (sappiamo cosa è accaduto ai comunisti in Russia, per esempio, lo stato che doveva prevedere tutti i bisogni dei cittadini, è stato trasformato in una forma di dittatura. Non sappiamo che sistemi nasceranno con la "democrazia" corrotta.). Il rischio è sempre legato, non alle decisioni, ma agli uomini che occupano il potere (ethos degli uomini che vogliano occupare il potere, dovrebbe essere un servizio ai propri simili. Purtroppo, oggi, la politica è quella cosa, senza la quale una società umana diventa caotica e, con la quale una società potrebbe diventare un teatro delle maschere, ove tutti pretendono d’essere qualcosa: non è realtà! Un tiranno può balbettare benissimo sotto una maschera da democratico, fare discorsi retorici sui diritti umani, è in realtà i diritti umani diventano i diritti delle persone che occupano il potere e non di tutti gli uomini). Il denaro in questo mondo, sembra un fenomeno che domina il mondo. In realtà, il denaro è il mezzo più efficace di tutti i mezzi disponibili all’uomo per comprare il potere. Così il denaro è diventato l’obiettivo di tutte le persone che aspirano al potere in qualsiasi modo (su questo punto v’invito a leggere il mio articolo sul dialogo in questo blog: Dialogo è la sinergia della vita umana).
Il maggior rischio oggi è la corruzione, che partendo da un piano singolare ed arriva a quella nazionale ed internazionale. Essa è accelerata e nascosta dalla nuova tecnologia. In una situazione tale, è possibile sperare in un giornalismo libero che serve, che diventa la voce di un popolo? È un problema serio, un cancro che è diffuso in tutto il mondo. Se da una parte abbiamo bisogno di mantenere la democrazia, d’altra parte noi non siamo in grado, di essere responsabili per un impegno così importante da perseguire con onestà. Oggi uno dei grandi problemi del mondo, che peggiora giorno per giorno è terrorismo. I terroristi e gli amici dei terroristi che lavorano con un duplice stipendio: quello dai terroristi e l’altro rappresentato dalle tasse della gente. Ci sono infiltrati da per tutto. Siamo sfidati dai terroristi che combattono per i diritti umani e sono “diritti loro”. Se i mass media diventano un mezzo per i terroristi, quale democrazia possiamo sperare? Conosco giornalisti onesti che lavorano giorno e notte senza aspettare né il denaro né il potere, ma semplicemente la soddisfazione professionale. Ci sono poi alcuni che lavorano perché non trovano un altro lavoro. Conosco per nome le persone, le agenzie di comunicazione e dei canali radio-televisivi che a loro volta mangiano a carico delle tasse pagate dalla gente che giustifica gli attacchi terroristici e le loro motivazioni. Se è così, quale “libera stampa” può diventare la voce di un popolo?
2. Da chi dipende il media
Noi speriamo ancora in una libera stampa. Ma la stampa è veramente libera? I giornalisti sono veramente liberi? Bisogna analizzare bene. Oggi nell’economia non c’è monopolio degli stati, invece abbiamo, per esempio l’economia aperta. e globalizzata (anche se quelli già hanno dimostrato i punti deboli nel condividere i beni, facendo crollare l'economia globale). I proprietari delle grandi agenzie nazionali ed internazionali appartengono agli enti privati. Il primo aspettativa dei proprietari è quello della loro ricchezza (e non necessariamente quella intellettuale) e, naturalmente, il loro potere come piattaforma. Loro possono influenzare capricciosamente gli stati democratici. Forse, i mass media stanno diventando sovrastrutture dei governi democratici o già lo sono? Un singolo giornalista ha veramente “la libertà” di lavorare per il popolo, cioè la libertà di dare la voce al popolo? Il fatto che scaturisce da queste domande è che oggi la stampa è una proprietà di pochi ricchi, quindi è dei potenti. In un quadro così definito, quale libera stampa possiamo sperare? Visto che il primo ed ultimo fattore dominante, oggi è il denaro e quindi guadagno del potere (istinto naturale dell’uomo), un giornalista può lavorare per uno stato che trasmette le notizie e le informazioni all’interno dei parametri dati? Come un giornalista, che lavora per un’agenzia privata delle informazioni, di conseguenza lavorerà per soddisfare i bisogni della proprietà. Che male c’è? Sembra che stiamo trattando i dialleli? Se un giornalista scrive ciò che vuole il proprietario, il suo lavoro è assicurato e non abbiamo bisogno di dire quali conseguenze potrebbero accadere a colui che pensa di essere libero, che tenta di mantenere la dignità del proprio lavoro una dignità che gli viene dalla stessa società umana. I proprietari a loro volta pensano ai loro sistemi di appartenenza e assicurano i guadagni reciproci e null’altro. Prendiamo ad esempio la guerra in Iraq. Il presidente Saddam Hussein non aveva nessuna arma di distruzione di massa, ma lo scenario di quella famosa bugia, elegante, pronunciata dal più potente del mondo(almeno si pretende così), con l’aiuto di tutte le possibili manipolazioni retoriche, dei media ha portato tutto il mondo a credere (eccetto una minoranza internazionale che pensa liberamente) che fosse vera. Ma noi non dimentichiamo quella minoranza di giornalisti, anzi, direi quelle persone che vivono con dignità e soddisfazione e considerano la propria auto-stima. Questi non dipendono dalle medaglie, dalle promozioni e dalle regalie dei potenti o dalle persone che vogliano manipolare delle informazioni a proprio favore, essi veramente danno la voce a chi non c’è l’ha.
3. La libera stampa e il terrorismo
3.1. Canali internazionali, internet e la verità
3.2. Che cosa deve e non deve comunicare al popolo e chi le decide?
3.3. Le aspirazioni dei terroristi
3.4. Conclusione
Tuesday, 9 December 2008
IL DIALOGO

1
IL DIALOGO È LA SINERGIA DELLA VITA
PRATICA[1]
Oggigiorno oltre a coloro che vogliono ed auspicano sinceramente e con tutto il cuore un mondo che cammini verso quella “Mèta finale” che definiscono e indicano con diversi modi, fedi e convinzioni - oltre che con i mezzi ed i fini scoperti dall’ambiente dato e non creato da nessun uomo - ci sono anche delle persone che tirano a campare speculando sul tema del dialogo, così come su quello della guerra e della pace. Sia coloro che cercano di realizzare un mondo migliore, sia quanti vogliono semplicemente approfittare delle circostanze esistenti, tutti partono dalla propria natura, data ma anche modificata attraverso il filtro di una determinata cultura e civiltà. Queste ultime, come dice Buddha[2], servono all’esistenza umana; tuttavia non sono fini a se stesse, ma solo mezzi per scoprire la “Mèta finale”. Invece oggi le diverse civiltà e culture continuano a cercare di affermare le proprie rispettive identità per motivi ed interesse, tentando di imporsi sugli altri con l’astuzia o con altri mezzi equivoci, come il potere, il denaro o la forza della posizione sociale. Le vittime di una simile coercizione prima o poi giungono alla consapevolezza di quanto hanno subito, e si vendicano per le umiliazioni ricevute. Basti pensare al problema creato con la nascita dello Stato di Israele, nato dalle astuzie politiche europee: quelli che ora ne pagano le conseguenze sono le persone comuni. Non solo: senza conoscere gli antefatti, oggi il mondo giudica semplicisticamente i musulmani come una nazione barbarica, e l’Islam come una religione primitiva e sanguinaria. Le responsabilità di cambiare le cose sono nelle mani di due tipi principali di ricercatori: quelli sinceri e quelli che approfittano delle circostanze. I primi lavorano per un mondo migliore rispettando le civiltà e le culture, quindi la diversità creata secondo ciò che è stato dato dalla natura; I secondi camminano sui cadaveri pur di imporre le proprie esigenze personali, mascherate nelle forme della civiltà e della cultura[3].
Dunque il segreto di mettere in atto un dialogo, secondo noi è questo: non vi possono essere una o più parti dominanti e altre dominate[4]. Tutti dovranno partire con l’unica intenzione di comprendere la verità nascosta nell’altro. Su questo punto vale la pena di ricordare il punto di partenza di Socrate: sapere di non sapere tutto, e dunque non “insegnare” ma dialogando scoprire ed aiutare l’interlocutore a far scaturire le verità già presenti in lui. E’ un grande segreto che però va compreso non solo intellettualmente, per poi finire nelle chiacchiere da salotto o nella retorica pensata per guadagnare denaro o un nome tra i propri simili: al contrario, esso si incarna nella vita pratica eticamente formata e guidata. Come ben sappiamo, quando manca la sincerità fra il dire e il fare si apre un abisso. Tutti sono bravi nel dire, ma quando bisogna fare spesso si ritirano nelle proprie abitudini nascoste, nelle tane primitive; cioè si rifugiano nell’arroganza, nella paura, nella lotta per la sopravvivenza e negli altri timori atavici legati alla vita materiale[5]. Per non parlare dei capricci personali che possono sempre venire a galla in tutte le attività personali e comunitarie, mascherate con belle parole, sorrisi, regali o favori; questo con l’intenzione di distorcere fini e obiettivi verso i propri interessi. Solo superando tutto questo possiamo realizzare un mondo che dialoga. Per iniziare sarebbe bene che ciascuno di noi provasse ad instaurare un dialogo con se stesso: sarebbe un buon punto di partenza.
Possiamo anche ricordare la regola aurea: fare il bene agli altri così come si desidera che sia fatto anche dagli altri. Ma il problema rimane sempre in parte irrisolto: la persona umana non viene creata da un Essere perfetto in modo diretto e immediato, ma nel processo della creazione v’è una gerarchia che si conclude nell’unione di un uomo e di donna, perpetuando così una serie di imperfezioni psicofisiche connaturate alle società umane. In altre parole, se un malato di mente sta male, come può voler bene agli altri? C’è da dire poi che la novità, la diversità, i nuovi punti di vista, i nuovi modi di vivere ecc. generano sempre un sospetto e una diffidenza che ai portatori di quella novità porteranno la morte, o quantomeno sofferenza ed emarginazione. E’ sempre accaduto in tutte le civiltà e culture ed accade anche nella nostra epoca, che pure è detta di grande progresso in tutti i campi.
(PER LEGGERE IL RESTO DELL'ARTICOLO BISOGNA INVIARE UN E-MAIL ALL'INDIRIZZO: ajithrohanjtf@gmail.com)
[1]I testi di base: Pico della Mirandola, De hominis dignitate, ( Bologna 1496). Titolo italiano: Il discorso sulla dignità dell’uomo; Anatole France, L’île des pingouins, trad. Ita. Isbn Edizioni, Milano 2006.
[2] Il Buddha inoltre ha spiegato la religione(anche le convinzioni, le ideologie, le filosofie ecc.) paragonandola ad una barca, che a sua volta serve per attraversare un fiume o il mare (la vita o il samsara). Una volta raggiunta la mèta(non in modo completo e una volta per tutte, ma in modo graduale e progressivo) ossia la riva del fiume, uno non porta sulle spalle quella barca, ma col rispetto la lascia li per gli altri che debbano o vogliano utilizzarla. Il Buddha raccomanda poi che nessuno disprezzi, sottovaluti o distrugga le altre religioni o le fedi diverse: se qualcuno si comporta così, rovina la propria stessa fede e si autodistrugge odiando gli altri(cfr. Dharmashoka, lapide XII). In 2500 anni di storia delle missioni buddiste non troviamo un episodio che dimostri come sia stata versata una sola goccia di sangue per la diffusione della religione. Perché e come? Il fatto evidente è che la religione buddhista non è legata ai fattori culturali, politici o economici dei paesi. Con sincerità i religiosi buddhisti sono andati a diffondere la religione, non a fare colonie, aiutare ai colonialisti (cfr. Walpola Rahula, What the Buddha taught, Gordon Fraser, Bedford, Englend 1959) o benedire le guerre. Non ci sono guerre giuste. Dio non è assetato di sangue della sua creatura. L’altro grande segreto dei buddhisti è il loro essere profondamente convinti che per
[3] È un dato di fatto psicologico che se un determinato soggetto vuole spasmodicamente difendere la propria civiltà, cultura, religione, il partito politico, la squadra di calcio, il gruppo, le idee o ideologie ecc. significa o che ha un forte bisogno di essere accolto, considerato con dignità, valutarlo per le sue qualità ecc. oppure che usa queste difese come pretesti per ottenere ciò che vuole (fama, denaro, consenso ecc.).
[4] Queste dominazioni posso manifestarsi in modo silenzioso, cioè, psicologicamente, con intimidazioni gestuali o addirittura culturali, che sono molto difficili da controllare. Un’altra manifestazione molto comune ed evidente è quella del potere e del denaro. Inoltre vi è un potere pericoloso legato a tutte le dominazioni: la comunicazione, cioè, dalla retorica e dalla dialettica distruttiva. Un esempio potrebbe essere l’idea gramsciana di rivoluzione culturale, dalla quale USA ha conquistato e continua a farlo usando la musica, il cinema, il teatro, la letteratura ecc. come dominazione intellettuale sulle altre culture.
[5] Invece il Vangelo dice di non avere paura di coloro che possono distruggere il corpo materiale, ma di chi può dannare l’anima.
L'UOMO è AVENTE LOGOS

- La scoperta della validità del concetto di la catalisis per la filosofia.
- Una definizione nuova dell’uomo sulla base del concetto di logos: l’uomo è avente logos.
- Individuazione oltre a quella caratteristica del pensiero già individuato da Gadamer, abbiamo scoperto insieme la complementarietà tra la matematicità e la linguisticità del pensiero umano.
- Individuare cinque qualità del pensiero: la matematica, la dialettica, la logica, la retorica e l’ermeneutica, in una situazione unitaria del pensiero che a sua volta esige la collaborazione tra le qualità nell’individuare qualsiasi concetto matematico o linguistico.
- Le cinque qualità del pensiero sono le catalisis ed allo stesso tempo sono catalizzatori del pensiero. Dunque, anche se le comprendiamo come le discipline scientifiche in questa forma e nello studio scientifico non hanno gli oggetti specifici se non essere catalizzatori. Le abbiamo trattato in ambedue modi per poi comprendere il valore sia come a livello catalitico sia a livello disciplinare l’importanza e indispensabile carattere per la ricerca della verità.
- In questo modo abbiamo individuato la ricorsività del pensiero umano a non solo alla propria temporalità ma anche al “non detto”, e a “non ancora”. Questa è diversa da quella ricorsività che si può ricavare dal pensiero di Wittgenstein e dal corrente di pensiero linguismo.
CAP. II. L’AVENTE LOGOS E Lo sfondo dell’esistenza 146
cap. III. lo SFONDO mosaico DEL PENSIERO UMANO 258
cap. IV. la conoscenza della verità e la vita umana 353
Cap. v: La complementarietà e la sinergia nel pensiero 439
Monday, 19 May 2008
IL MONACO BUDDHISTA NAGARJUNA E IL CONCETTO DI “SUNYATHA”
Nagarjuna nella sua reinterpretazione sistematica della dottrina di Buddha nella sua opera principale, Madhamakakarikas, probabilmente non per un errore ma consapevolmente individua il “Sunyatha”. Nagarjuna sostiene la presenza della materia come l’energia che nasce e che dura solo "un attimo" (kshna) come una frazione di pensiero. Così la causalità è un fattore dei momenti che accompagnano uno che nasce dopo, vale a dire se A è la causa di B, dunque, se c’è B, ci sono le regole e gli effetti dell’esperienza del A in B. la logica di Buddha (chatuskoti) che procede con quattro premesse; vale a dire: io non dico che quella visione sia vera; non dico che sia falsa; non dico nemmeno che sia vera e sia falsa allo stesso tempo; e non nego ne che sia prima ne che sia seconda(cioè tutto è possibile). Su questo punto ricordiamo la logica della possibilità, di Aristotele che, da questo tipo di pensare, può escludere sia l’impossibile sia il necessario.
Or dunque, se come abbiamo detto pocanzi le cose appaiono solo "un attimo" e cambiano subito, poi seguendo la causalità, un effetto, se porta l’effetto della causa con sé, vi è qualcosa che possiamo intendere come qualcosa che si può esperimentare almeno nel pensiero, vale a dire una possibile sensazione permanente. Ma quando Buddha dice che non vi è nessun fenomeno eterno, sembra che affermi le cose finite esistono. Se le cose finite sono già, nulla può nascere o morire. Non c’è nemmeno la causa e l’effetto. Così, non avendo nemmeno un sé che lo intende, gli oggetti non possono essere. Tutto ciò che è, semplicemente è un’apparenza. Così Nagarjuna sembra che proceda col filo del pensiero nichilista, ma poi quando il monaco dice di non avere nessuna dottrina o visione propria, intende che lui era intressato solo "argomentare per argomentare". Allora, se tutto è “sunya” non nega quello che ha detto prima, dunque, quell’apparenza dovrebbe avere una sua natura nel sentire: o bene o male, dunque tutte è due sono possibili. Ora possiamo comprendere che il “Sunyatha” non è un vuoto in Nagarjuna ma è un termine tecnico, che a sua volta, può essere malinteso e mal guidato il lettore; d’altra parte, secondo il nostro avviso, questo lo possiamo per ora chiamare con il termine aristotelico “potenza”, dunque, “Sunyatha” ossia vuoto non è un vuoto, ma è una possibilità proprio un uomo che devorebbe dare. Così possiamo capire come si può sentire, il piacere, il dolore, il bene, il male ecc. delle cose che sembrano di non esistere. Non sono gli stati psichici che uno può ridurre anche alle malattie così come nessuno può nemmeno può avere questa possibilità, e secondo noi, sono possibili della realtà che il pensiero sente proprio per la sua natura: progresso per continuum all’infinito. Allora sono reali[1]. Dunque, ora possiamo comprendere come è nato lo zero; mettendo in un movimento la cui velocità è calcolabile, esso rappresenta l’assenza pensabile e rappresentabile che a sua volta è indispensabile per il pensiero umano. Senza questa capacità noi non possiamo pensare. L’importanza del monaco Nagarjuna sta nel mettere in rilievo quest’aspetto naturale del pensiero umano. Ma in India in quel epoca è accaduto ben altro; cioè, il buddhismo viene abbandonato e l'India viene ripristinata secondo i principi pre-ariana e post-ariana o Vedica, vale a dire, l'India diventa di nuovo Indù (non in senso come noi oggi lo intendiamo ma alla base dei testi Veda).
Inoltre il termine in lingua Sanskrito “Sunyatha” non è un sinonimo dei termini in lingua inglese “emptiness” or in lingua italiana “nulla or vuoto” ma ha un significato di “possibile essere”. Allora così, il termine “Sunyatha” non è nichilistica[2]. Se l’esistenza dei fenomeni dipendono da altri fenomeni, che sono a loro volta, vuoti, e dipendono dalla relazione, comunicazione, ciò vuoldire che le cose non esistono per sé stessi, in modo auto sufficiente, invece quel modo di “Sunyatha” è tutto il contrario dei fenomeni.
[1] Dobbiamo ricordare che con questa interpretazione di monaco Nagarjuna non annichilisce o non nega la dottrina di Buddha , anzi la riafferma con una dialettica diversa, portandola, secondo noi, a due punti: un etica che riafferma la vita contemplativa e la vita semplice senza attaccamenti, e l’altro è un piano più produttivo e innovativo dalla cui pensiero, scaturisce lo sviluppo della materia. Il secondo è quello che deriva dal suo pensiero e non come qualcosa di diretto. Su questo punto possiamo riprendere lo zero e lo sviluppo del pensiero umano fino ad oggi.
[2] Cfr.