Featured post

Towards a Complementary Humanism - save humanism and human world - by Ajith Rohan J.T.F.

  Common Objective – "Save humanity and the human world." By "human world," we refer to the "man-made world...

Showing posts with label filosofia. Show all posts
Showing posts with label filosofia. Show all posts

Wednesday, 2 December 2009

Zero e pensiero dinamico – (Appunti per filosofia teoretica 01) by Ajith Rohan J.T.F., Rome

Rome at night 2012

Ajith Rohan J.T.F.


Zero e pensiero dinamico – (Appunti 01)

Premessa

L’obiettivo principale di questa ricerca è  capire brevemente da cosa e come nasce il concetto matematico-linguistico “zero” e la sua presenza, in varie forme, in diverse culture del mondo.  In questo modo seguiamo i tratti tecnici dell’invenzione dello zero. Questo processo è accompagnato dalla critica filosofica e argomenteremo per comprendere questa creazione del concetto di zero così com’è stato influenzato a livello “Socio-Politico-Economico-Culturale” (SPEC). Inoltre,riguardo allo zero, siamo convinti della sua natura congenita e della sua inevitabilità, cioè di uno “spazio vuoto individuato” e rappresentato da un concetto ed eventualmente da un simbolo per la comunicazione e per qualsiasi espressione perfetta (numerica o linguistica) umana (cfr. Ajith Rohan J.T.F., La Retorica ed Ermeneutica come discipline complementari per la ricerca della verità in Aristotele e in Gadamer, 2008 Roma). In questo modo noi proviamo ulteriormente la nostra teoria della conoscenza basata sulla definizione dell’uomo: avente logos.

Questa necessità probabilmente è stata individuata materialmente e oggettivamente da parte di quel (quale?)popolo del continente Indiano, in quanto già avevano un pensiero raffinato filosofico-religioso pratico che a sua volta facilitava una tale invenzione. Inoltre, la lingua antica Sanskrito forniva già un termine che ha facilitato il comunicare questo concetto senza difficoltà nella vicissitudine della vita quotidiana. Il termine era “sunya” (vuoto e assenza – che genera una sensazione uguale a zero). Inizialmente tutti questi termini avevano un senso religioso. Ciò non vuol dire che escludendo attributi religiosi noi non possiamo trattare il concetto di zero. D’altra parte il senso religioso era solo lo sfondo culturale e civile con cui a loro volta abbellivano i concetti e la vita pratica in generale (dei, demoni, spiriti, bene, male, paradiso, inferno ecc). Questo fatto dello sfondo relativo delle epoche è presente in tutte le culture e civiltà del mondo. Ora noi lo dobbiamo comprendere senza attributi particolari in quanto semplice ed autentico possibile.

Alcuni fatti storici rilevanti

Il primo impero persiano fondato da Ciro il Grande è stato il più grande impero che copriva l’area geografica e culturale dalla valle dell’Indo all’Europa (550-330 a. c.). Questo impero ha collegato tutte le culture all’epoca in diversi modi: libertà di circolazione, fedi, culture, strade ecc. Inoltre, durante il periodo che si chiama Pax Persica, ha liberalizzato oltre alla strada regale che connetteva occidente all’India, la circolazione delle idee sociali, filosofie e culture e relative tecnologie. In questo modo prima della nascita di Siddhartha Gautama da Atene fino a valle d’Indo si conoscevano e si scambiavano non solo merci ma le idee e le culture. Gli esiliati greci, ebrei, e altre persone in questo impero, sono stati ben accolti. Secondo i fatti storici l’impero Achemenide persiano è stato il primo multinazionale e multi culturale. (cfr. Warwick Ball, Towards One World, Ancient Persia and the West, London, 2010, p 22-23). Secondo Ball, Anassimandro, Ecateo, Ippodamo, Pitagora, Anassagora, Ippocrate, Erodoto ed Eraclito  sono nati o vissuti sotto l’impero Persiano in Asia Minore (cfr. ibidem, p. 39). Inoltre quando nacque Siddhartha Gautama nel 480 a. c. i soldati Indiani del regno di Gandhara stavano facendo guerra a150 miglia da Atene per conto dell’impero Persiano (Stephen BatchelorA Buddhist Voice for Europe, EBU AGM, 2010). Tutti questi fatti riportati qui provano i legami diretti tra Occidente e Oriente prima della nascita di Siddhartha Gautama.

Alessandro di Macedonia e legami culturali


Questo legame poi venne ristabilito da Alessandro di Macedonia (356-323 a.c.) con più dinamica. Alessandro durante i suoi viaggi ha portato i filosofi interessati. Uno di questi è stato Pirrone di Elide (360-275 a.c.) che poi divenne il fondatore della prima scuola dello scetticismo in Occidente. Pirrone ha adottato uno strumento di argomentazione diversa da quella abituale, quindi la logica Chatuskoti, ossia la logica cha ha usato Siddhartha Gautama. Ciò significa,come affermano vari filosofi, dopo Alessandro di Macedonia le relazioni accademiche e culturali cominciavano a ricrescere. Quando venne Alessandro in India nella zona dell’ attuale Pakistan c’era la famosa università Takshila ove si insegnava la dottrina di Siddhartha Gautama e c’era anche il famoso economista Kautilya.  Questi fatti sono verificabili anche a livello archeologico. In oltre il testo che si chiama le Domande di Milinda (Milinda Panha) è un'altra prova materiale di questo legame tra Grecia e Indo-Grecia.    

D’altra parte dopo Alessandro di Macedonia la politica dell’impero è stata cambiata e l’India viene unificata sotto l’Impero di ChandraGupta (321-297 a. c.). Alla fine sotto l’imperatore Ashoka (304-232 a. c.) l’impero è stato portato al suo massimo splendore con la filosofia di Siddhartha Gautama e dopo di lui ha inizio la sua decadenza. Così in India, dopo l’imperatore Ashoka, il buddhismo viene abbandonato. L'India è stata gradualmente ripristinata ai principi pre-ariani e post-ariani o Vedica (base dei 4 Veda).In questo modo noi possiamo comprendere perché e come il monaco Nagarjuna (150-250 d. c.) è riuscito a pensare con una logica diversa e creare un concetto che trasforma tutta la matematica del mondo.  

Alcuni concetti importanti per la ricerca

Significato del termine sunyatha

Il termine nominativo “sunyatha” (शून्य) indica il «non essere, la non esistenza, ciò che non ha forma, ciò che è presente come non essere, assente, nulla. [in questo modo] gli scienziati indiani decisero che il termine “sunyatha” era perfettamente adatto, da un punto di vista sia filosofico, sia matematico (calcolo), a esprimere la nozione di assenza di uno degli elementi costitutivi del numero di volta in volta unità, decina, centinaia ecc»[1]. Sunyatha non significa “vuoto” ma  qualcosa d’indefinito. Com’è un “insieme vuoto”. D’altra parte questo termine ha una storia filosofica e religiosa in India. Il simbolo che rappresenta lo zero è un cerchio vuoto; anticamente rappresentava anche «cielo, spazio, atmosfera o firmamento». C’erano quattro rappresentazioni dello zero in India: «vuoto-spazio (sunya-kha), vuoto-circonferenza (sunya-chakra) zero-punto (sunya-bindu) [ed in fine] vuoto-numero (sunya-samkhya)»[2].

Von Neumann dice che i numeri: « could be bootstrapped out of the empty set by the operations of the mind». La mente umana è capace di osservare questi «insiemi vuoti» e così anche un altro «insieme vuoto» e così via. La base di qualsiasi partenza di un qualsiasi pensiero umano è lo stesso “insieme vuoto”. In questo modo un insieme vuoto non è più vuoto ma è un «“non-cosa”» ossia la “cosalità” mentale (cfr. A. Rohan 2008, Roma). Ora, questa conoscenza pratica la applichiamo al nostro modo di comprendere numeri partendo da zero o finire con lo zero (0 1,2,3,4,5,6,7,8,9, o al contrario); cioè, consideriamo che “Sunyatha” sia un insieme vuoto che a sua volta diventa una «“non cosa”» (cosalità) dopo aver attribuito il senso numerico di assenza come mediale o operatore (posizionale). In questo modo comprendiamo il legame tra il numero vuoto, insieme vuoto, “cosalità” e pensiero.  

Il problema della logica e comprensioni diverse

Il monaco buddhista Nagarjuna ha usato due logiche: quello chatuskoti e il sillogismo aristotelico. La logica di Buddha ha 4 possibilità (chatuskoti) ossia procede con quattro passaggi: per esempio, vero (p); falso (-p); ambe e due vero (p) e falso (-p); né vero (p) nemmeno falso (-p); (cioè tutto è possibile con una alternativa a scelta). Questa è la logica che il filosofo Pirrone di Elide (360-275 a.c.) ha usato per la sua scuola filosofica. Ciò vuol dire che la logica con quattro possibilità è stata usata da Siddhartha Gautama, nell’università di Takshila e da altri seguaci della filosofia di Siddhartha Gautama. Da questa logica “strana” scaturisce un “insieme vuoto” ossia “sunyatha”(cfr. Amir D. Aczel, Finding Zero, p. 40-41). Come Democrito tramite la massima di Pirrone “nulla di più” deduce che se c’è un vuoto significa che esiste “un vuoto”, Parmenide direbbe: se c’è un vuoto non può essere nulla, noi affermiamo che così nasce il senso della “cosalità ” da qui (da cui?)(concetto di catalisis della nostra teoria della conoscenza del 2008) l’idea del movimento di Democrito può procedere per continuo. Allora, in questo modo, possiamo comprendere che dalla logica Chatuskoti nasce la percezione fondamentale di un “insieme vuoto [3]”.  
Ora, comprendiamo la logica aristotelica; cioè, A=B; B=C; dunque A=C. La causalità conseguenziale del sillogismo Aristotelico facilita la creazione di un concetto funzionale come lo zero in senso matematico(In senso linguistico “sunya” significa già vuoto o si può dire zero esistente). Innanzi tutto dobbiamo comprendere il funzionamento della logica di Aristotele. Essa è la base utile per la meccanica. Da questa logica possiamo escludere l’inutile da qualsiasi procedura logica per completare un qualsiasi prodotto relativo. In questo modo, un “insieme vuoto” che nasce dalla logica chatuskoti può essere definito come lo zero escludendo tutte le altre possibilità.                    

Lo zero e ontologia

Alla fine sembra che tutto ciò nasce da un gioco della mente. Se è così, questo gioco della mente è lo sfondo catalitico dell’essere nel mondo. Da questo punto di vista prima sparisce il mondo dei numeri ideali platonici e poi riapre la possibilità effettiva delle attività della  mente per un mondo della comunicazione-relazionale. In questo modo la mente nella sua forma naturale continua a permettere assolutamente di vedere e  definire ciò che un individuo desidera vedere[4]. Ora possiamo comprendere dove sta l’energia originale e la capacità di creare i numeri senza riferimento agli oggetti.  È una facoltà dinamica e congenita della mente propria dell’uomo.  A questo punto bisogna precisare che le basi di calcolo come per esempio 2, 10, 20, 60 ecc. sono le capacità individuali e culturali, perciò sono relative e rilevanti relativamente al pensiero culturale. In altre parole, la base fondamentale è la percezione congenita di “insieme vuoto”.

Ora partendo da ciò che abbiamo visto (“vedere” secondo la nostra filosofia significa esaminare in modo dialettico e analitico) fino adesso si può affermare che vi è un legame inevitabile tra questa dinamica di base, cioè di percezione di un “insieme vuoto” e l’ontologia che a sua volta afferma l’esistenza di base, cioè la “presenza vuota” (essere in quanto essere e non dei fenomeni particolari). Ciò vuol dire che essere in quanto essere è uguale alla percezione dell’“insieme vuoto”; in altre parole è uguale allo zero, alla sunyatha, al nulla, al punto che non ha le parti, al parallelo cha ha lunghezza ma non ha larghezza ecc. Questo legame tra un “insieme vuoto” e “presenza vuota” designa un’autentica ontologia del pensiero.     

 Il monaco buddhista Nagarjuna e il concetto di “sunyatha”

Nagarjuna (150 a.c. – 100 d. c.) nella sua reinterpretazione sistematica della dottrina di Buddha, che si trova espressa nella sua opera principale Madhamakakarikas, probabilmente, non per un errore ma consapevolmente, individua il “Sunyatha” come qualcosa che si può riconoscere come “essere in trasformazione”. È una percezione raffinata, giusta e giustificabile. Come qualsiasi pensiero, parola e atto hanno conseguenze processuali (processi dialettiche e logiche per continuum) anche questa percezione del monaco Nagarjuna aveva portato a conseguenze tragiche. La più significativo è quella di scissione dell’insegnamento di Siddhartha Gautama in due scuole: Hinayana e Mahayana. Credo che il monaco Nagarjuna non fosse consapevole di questa conseguenza. Comunque, Nagarjuna sostiene che la presenza della materia sia come l’energia che nasce e che dura "un attimo" (in lingua Sanskrito “kshena”), come la frazione elementare possibile di un pensiero. È necessariamente pensabile con un’immagine “insieme vuoto” e pensabile con “presenza vuota”.  

D’altra parte, dal punto di vista del nostro monaco Nagarjuna questa modalità rende integrabile alla logica del suo maestro Siddhartha Gautama  quella Aristotelica che era già presente nel suo tempo in India. Così la causalità è un fattore consequenziale dei momenti che accompagnano uno che nasce dopo, vale a dire se A è la causa di B, dunque, se c’è B, ci sono le regole e gli effetti dell’esperienza dell’A in B (A=B, B=C dunque A=C). Perciò, noi affermiamo che il monaco Buddhista Nagarjuna sotto lo studio della logica Aristotelica ha ideato precisamente lo zero e lo ha diffuso tra gli intellettuali dell’India.      

L’esistenza e lo spazio-tempo 

Abbiamo visto che le cose appaiono solo "un attimo" e cambiano subito e poi vi è un legame tra l’essere e causalità. In altre parole in tutto ciò che cambia, muta e si muove vi è qualcosa di riconoscibile come “cosa che sta trasformando” cioè un “insieme vuoto” oppure la “presenza vuota” che viene determinata da concetti di qualità e quantità. Questo è il movimento di cui ha parlato Democrito sulla massima del filosofo Pirro. Il movimento è legato alla dinamica delle cose (movimento, mutamento, cambiamento). È la nostra percezione possibile del mondo. Questo si può comprendere per analogia con la pellicola cinematografica: ogni fotogramma è un telaio logico. Nel movimento un fotogramma si muove secondo il ritardo normale della percezione visiva di 1/10 alla velocità di 19 fotogrammi al secondo. Così noi percepiamo la dinamica del mondo a modo nostro esattamente. Al di fuori di quella percezione noi non possiamo parlare, proprio come ha detto Wittgenstein: su ciò di cui non si può parlare si deve tacere(Wittgenstein, Tractatus Logico Philosophicus 1922).  

Dal punto di vista della logica Aristotelica, quando Buddha afferma che non vi è nessun fenomeno eterno sottintende che le cose finite esistono. Così i fenomeni esistono negli attimi di tempo concernenti la nostra esperienza. In questo modo, il monaco Nagarjuna ha evitato il nichilismo esistenziale. Questo è un fatto importante anche riguardo all’insegnamento di Siddhartha Gautama: sunyatha non è una forma di nichilismo ma è il modo giusto di comprendere l’esistenza. Tutto ciò che esiste non solo è definibile come semplice apparenza ma anche come modo di essere quindi non è ignorabile. Allora, tutto ciò che esiste relativamente al proprio essere, comunica e relaziona col mondo. È la possibilità di essere. Così la dottrina di Buddha viene riaffermata con una dialettica diversa. In questo modo si può comprendere l’insegnamento di Siddhartha Gautama in due modi: come un’etica che riafferma la vita contemplativa e come un piano più produttivo e innovativo dal cui pensiero scaturisce lo sviluppo della materia[5].

Suggerimenti   


Abbiamo visto l’importanza dello sfondo logico del pensiero. Secondo la nostra teoria della conoscenza la logica “chatuskoti” e la “aristotelica” sono complementari. Esse fanno parte dei nostri ragionamenti critici e creativi. Noi siamo entusiasti nel raccomandare l’approfondimento della logica chatuskoti che è presente nel dialogo tra Monaco Buddhista Nagasena e il re Indo-Greco Menandro I Soter (155-130 a.c.)[6]. Leggendo questo testo uno può comprendere senza difficoltà cosa sia la logica chatuskoti e la sua utilità. In modo specifico noi siamo convinti della sua validità per comprendere e interpretare il comportamento del quantum ossia la fisica quantistica. Inoltre se analizziamo bene le domande e lo sfondo della logica chatuskoti nell’argomentazione di questo dialogo, si può capire il non senso dei concetti linguistici. Noi non raccomandiamo a nessuno di essere seguaci di nulla ma bisogna sapere raccogliere il nesso logico che a noi serve togliendo tutto ciò che è di culturale e fantastico.            


[1] Ouaknin Marc-Alain, Mystères des chiffres, Editions Assouline, trad. Ita. Atlante, Bologna 2005, P. 75.

[2] Ouaknin Marc-Alain, Mystères des chiffres, Editions Assouline, trad. Ita. Atlante, Bologna 2005, Pp. 77-78.

[3] Facoltà insiemistica è una delle capacità fondamentali della nostra percezione secondo la nostra. Questo è fondamentale per comprendere il concetto di logos.
[4] In parte questa è ciò che afferma la fisica quantistica. Secondo la nostra teoria della conoscenza la logica chatuskoti è lo strumento utile per la fisica quantistica.
[5] A me sembra di interpretare Aristotele; cioè, Lo stagirita dice che la realtà è perfetta ma perfezionabile. Quindi, bisogna “vedere” con la forza creativa.
[6] Ci sono diverse traduzioni in lingua italiana e diversi studi fatti dagli studenti e studiosi italiani su questo libro. I testi sono disponibili su internet gratuitamente.




Wednesday, 16 September 2009

VITA E SALUTE (01)


UOMO IN QUANTO UOMO - by ARJTF

Ajith Rohan J.T.F.


Vita e salute. 1

La salute e l’uomo in quanto uomo. 1

La salute e lo SPEC.. 1

La salute e il nostro tempo. 1

La salute dell’uomo in quanto uomo. 2

Il ruolo della politica e dell’economia riguardo alla salute. 2

La salute e l’uomo in quanto uomo

Vita e salute sono due dimensioni costitutive dell’esistenza sulla terra, inevitabilmente complementari. Per quanto riguarda la salute degli esseri umani, non si limita alla pura corporeità ma va oltre la fisicità, quindi, si completa con la psiche e la relazione sociale. In altre parole, la salute è il benessere adeguato del soggetto a livello «psico-fisico e sociale». Da questa definizione possiamo comprendere che la salute non si è limitata al corpo, ma si è estesa verso i livelli atomici che sono e che un tempo furano trascurati dalla scienza sperimentale. Ciò vuol dire, la dimensione della salute abbraccia, l’uomo in quanto uomo e non le parti.

La salute e lo SPEC

Oggi sappiamo evidentemente che qualsiasi persona umana nasce all’interno di uno SPEC (socio-politico-economico-culturale). Come abbiamo reso evidente in questo blog, che un essere diventa una persona con un’identità a livello psico-fisico e sociale, grazie allo SPEC. Abbiamo inoltre detto che uno SPEC è il punto di partenza e non quello d’arrivo. Questo fatto evidenzia la gravità della responsabilità da parte di un sistema SPEC verso un individuo: uno SPEC non si forma da un giorno o da qualche anno, per la sua formazione ha bisogno centinaia e migliaia di anni. Esso nasce dall’idea di avere una società, ove regna la pace tra i membri che condividono i valori, le norme e le leggi dello SPEC nella loro vita quotidiana. Le garanzie dovute verso un soggetto sono vale quanto alla comunità. “Non dovrebbe mai” essere trascurato o sottovalutato, come intendevano Hegel e poi quelle politiche assurde nate dalla sua filosofia: destra e sinistra. Cioè, questi ritengono il principio provinciale di sacrificare l’individuo al gruppo come lo sfondo della giustizia. Quindi, la salute di un soggetto è uno dei risultati di un buon funzionamento di uno SPEC. I soggetti che vivono bene, si condividono tutti i beni materiali e non materiali (scaturiscono dai valori condivisi universali e provinciali) nella giustizia e nel rispetto. Ciò vuol dire che la salute è la dimensione che non si può raggiungere una volta per tutte, invece, bisogna ricercarla nella vita quotidiana, e ha bisogno di essere mantenuta e curata giorno per giorno. La salute è un impegno sociale; perché, se un membro della società è malato, è un problema della società in tutti gli effetti, a parte tutti i dolori psico-fisici di un soggetto per la determinazione esistenziale devono patire dalla sua singolarità.

La salute e il nostro tempo

Gli antenati di ciascun SPEC particolare, in base alle proprie esperienze relative all’ambiente, hanno creato e formulato risposte adeguate e coerente alle domande per vivere, evitando i pericoli e il male dalla vita quotidiana e futura, nelle forme delle norme, e le leggi per essere eseguite dai membri. In ultima analisi, diventano abitudini, immagini e pensieri autonomi dei membri di uno SPEC, tramite la formazione. Inoltre, ci sono alcune realtà che si ripetano nell’esistenza: nascita, crescita, corruzione e morte. Ci sono altre realtà innate e congenite ma deliberabili dal soggetto o dai costumi di uno SPEC: matrimonio, procreazione e le attività legate in modo positivo e negativo a queste due scelte. D’altra parte le attività sessuali sono presenti con tutta la loro forza dinamica di ciascun soggetto sino alla fine dell’arco della vita, esprimendosi in vari modi, alle volte non individuabili. Sappiamo inoltre, che, un soggetto umano, nella sua esistenza quotidiana, si esprime con un insieme di abitudini. Così, un uomo, che, noi vediamo, è un insieme di abitudini, immagini del piacere e del dispiacere nascoste nel profondo dell’essere. Tanto è vero che la maggior parte delle decisioni e degli atti di un soggetto sono scaturiti e decisi liberamente dalla consapevolezza del soggetto, vale a dire dalle abitudini, dalle immagini e dai pensieri che scaturiscono in ogni frazione di secondo (alcuni sono individuabili e altri no) autonomamente. Per questo i grandi pensatori hanno detto spesso che l’uomo non vive ma sogna o può essere “automa” come ha detto Cartesio. Questi tipi di esseri umani, sono stati neutralizzati dalle abitudini, dalle immagini e dai pensieri che scaturiscono ogni frazione di secondo, autonomamente. Questi comandi possono essere “individuabili e non”, come già abbiamo detto. Non individuabile, secondo il nostro avviso, significa che supera la nostra velocità di captare gli avvenimenti e gli accadimenti continui all’interno di un cervello.

La salute dell’uomo in quanto uomo

Questo stato dinamico non consiste chiaramente solo nello sviluppo economico e politico. Questo è evidente dopo quasi tre mila anni di storia umana. Oggi purtroppo noi sentiamo ogni giorno ciò che un tempo era impossibile immaginare o sentivamo rarissimamente come un caso isolato che mette tutto uno SPEC in shock: abusare i propri figli; i genitori vengono uccisi brutalmente dai figli e/o i figli vengono uccisi, le donne e le persone diverse sono sempre maltrattate, e così via. La maggior parte delle malattie oggi scaturisce da una mente malata e non da un corpo. Ci sono i malati di depressioni, fobie, manie depressive psicosi, schizofrenia, conversione isterica e fobica, melanconia, paranoia, ossessioni, insonnia, cleptomania e così via; purtroppo la così detta scienza esatta o le religioni che pretendono di avere le verità in mano, oggi non trovano le risposte a queste esigenze reali. Perché la scienza pretende solo dalla materia fenomenica che appare e non sa null’altro. Precisiamo che noi non stiamo favorendo nessuna delle religioni del mondo. Per noi queste, le religioni, sono gli elementi che fanno parte degli SPEC e basta. I responsabili delle religioni del mondo, ormai hanno dimostrato coi fatti cosa sono veramente (un es. benedire e favorire le guerre del mondo). In questa sede noi le trattiamo come gli elementi degli SPEC. Hanno le funzionalità importante per formare i propri membri degli SPEC, purtroppo loro non sono capaci di oltrepassare i confini degli SPEC e rimangono intrappolate. Noi inoltre rifiutiamo chiaramente la formazione delle nuove religioni, tra l’altro oggi non avrebbe alcun senso. Invece eseguire le discussioni e le ricerche per trovare qualche via di uscita possibile e plausibile, da questi SPEC malati, è molto importante. Così solo, secondo noi, possiamo conservare la vita su questa terra. Qualsiasi soluzione creata bisognerebbe che avesse come sfondo l’etica dei valori universali. Questo è un fattore evidente e necessario. Altrimenti le risposte saranno fallite e gli SPEC diventeranno più malati e andranno verso un suicidio con gli sperimenti su uranio e su plutonio.

Il ruolo della politica e dell’economia riguardo alla salute.

Sappiamo bene il ruolo della politica e della diplomazia sul piano esistenziale. È vero che Machiavelli ha sempre ragione,anzi, lui vive più oggi che mai. Le guerre continuano e altrettanto vediamo i mediatori di pace che portano gli elementi di accelerazioni e l’aumento delle scontri e ci sono i piani di pace avviati dalle spese pubbliche mondiali che falliscono continuamente (tranne in Sri Lanka, che hanno vinto la battaglia contro i terroristi e mediatori di “pace-guerra” internazionale). Nonostante tutto noi sentiamo i politici che predicano, ricordandoci Machiavelli, e i responsabili delle religioni che dichiarano le guerre con il loro orgoglio di avere il Dio vero con loro e di essere padroni della Verità. È vero che il mondo è pieno di pazzi che sono pronti a far male in qualsiasi momento. Ci sono gli innocenti che hanno bisogno della sicurezza. Su questo piano noi siamo più che d’accordo con qualsiasi sistema SPEC che pretende di far bene. Allo stesso tempo mettiamo in evidenza Il fatto che la salute dell’essere umano non è legata strettamente allo SPEC, in modo specifico la politica e l’economia sono legate alla salute dell’essere umano più delle altre a livello quotidiano. Ora noi abbiamo bisogno di uno stile (o più) di vita diversa da ciò che stiamo vivendo, che a sua volta (a loro volta) rispettano tutti gli esseri umani.

(continua)

Saturday, 13 June 2009

La Possibilità della verità (01)

La Possibilità della verità (01)


Castello di Quero, Acquarello, by: Ajith Rohan - 1998

Su questo tema abbiamo progettato di scrivere una serie di articoli dal punto di vista filosofico. Vi chiediamo con tutto il rispetto di leggere con l’ottica critica e di individuare i punti incoerenti e inadeguati al problema poi generosamente farci sapere le vostre idee.
Premessa
La verità è un problema nato con l’uomo “soggetto” ed “individuo”. Innanzitutto e soprattutto, l’uomo non sa chi sia lui/lei esattamente, e non è capace di dare una definizione esauriente di se stesso. Ha la certezza e, allo stesso tempo, ha i dubbi su tutto intero il proprio essere. Sappiamo, secondo le creatività del campo biologico, che gli esseri umani sono tutti uguali, fatta eccezione delle capacità intellettuali e fisiche che a loro volta sono modifiche dello stesso DNA e non hanno nulla di particolare che un qualsiasi uomo non possa avere. Il fatto è questo: senza conoscere l’uomo come è possibile conoscere la verità? Vale a dire, se l’uomo deve conoscere, come conosce? Cosa conosce? Quale è la validità della sua conoscenza? Quando conosce cosa fa e cosa succede in lui/lei? Se queste domande fondamentali sono valide, dobbiamo formulare un'altra domanda: conoscere è comprendere la capacità umana di comprendere e quindi comprendere il nostro comprendere? Nonostante tutto ciò, ci sono diverse verità. Ci sono anche diverse unità della verità considerata come Assoluta. All’interno di uno sfondo catalitico di un’unità Assoluta della verità, ci sono poi diverse altre verità e convinzioni diverse. Tra queste tutte verità Assolute ed altre verità, forse ci sono alcune caratteristiche che si possono rendere evidenti; come per esempio la regola d’oro. Intanto, continua il dubbio e continua la tentazione di fare affermazioni sulle “Verità” assolute. D’altra parte, non sappiamo qual è la relazione tra le verità e, le Verità e l’uomo, perché anche noi pensiamo di aver “scoperto” delle verità Assolute, viviamo sempre dimenticandole proprio come se non avessimo nulla del genere, dando spazio solo al potere, alla prepotenza, all’istinto, al dominio dell’altro, alla guerra, alla produzione degli armi di massa ecc. Se è così, qual è la possibilità della verità nella nostra vita?

introduzione

Tutti gli esseri umani cercano o sperano, relativamente o universalmente, la coerenza tra i fatti. Questa ricerca e/o speranza potrebbe essere fondata su una definizione della verità, ma è anche altrettanto possibile non avere una definizione precisa, chiara e distinta (come sperano tutti). La verità sul piano collettivo è pericolosa. Innanzitutto, la verità in questo contesto diventa giustizia e pace, che, a loro volta, sono legate in modo complementare all’ingiustizia e alla guerra. L’istinto collettivo esige dall’individuo il sacrificio del proprio sé, cioè, dei piaceri, dispiaceri, volontà, amori, libertà e perfino della propria vita. Quindi, non si può amare liberamente chi si vuole perché, se chi si ama è un “fuori legge collettivo”, bisogna tradirlo e consegnarlo alla giustizia. In questo modo, grazie a questa verità, ossia alla giustizia collettiva, tra noi c’è sempre diffidenza, dolore, ansia, sofferenza e dispiacere di vivere. Nonostante tutto, bisogna rendere evidente un principio universale, prima di procedere nel discorso: senza la presenza dell’uomo il problema della verità o delle verità non esiste. Lui/lei è il centro di tutto ciò che sta intorno. Qualsiasi singolo concetto che si “assorbe”, si “riduce”, ossia fa da piattaforma o da sfondo, per le “creatività” dei soggetti, diventa il “movente” o la dimensione nascosta o il cannocchiale dell’interpretazione. Senza la presenza dell’uomo, noi non sappiamo nulla; per dirlo, io devo essere un uomo altrimenti nulla posso dire.
Detto questo, ora individuiamo alcuni piani rispetto a cui uno spera o cerca la verità: un primo livello è nella vita, nei fatti quotidiani, all’interno dei domini socio-politico e culturali, e/o a livello internazionale; un altro livello è quello spirituale e infine a livello filosofico. Quest’ultimo, a sua volta, abbraccia l'uomo in quanto uomo e la natura in quanto natura, vale a dire, la filosofia non esclude nulla. Ora, dobbiamo affermare anticipatamente che, se a livello socio-politico e culturale l’uomo viene soddisfatto alla più alta percentuale possibile (supponiamo che la possibilità della corruzione sia zero) il bisogno della verità, ossia della giustizia e della pace, il livello spirituale, naturalmente non dovrebbe presentare problemi[1]. Il primo livello è legato al cuore dell’esistenza, quindi, riguarda esplicitamente i diritti di tutti gli esseri umani (se dobbiamo discutere sul serio dei diritti umani) e non solo di quelli di alcune collettività[2]. Come sappiamo tutti, i fondatori delle religioni hanno rispettato l’uomo e i suoi diritti; per esempio nella religione cattolica, Gesù, il figlio di Dio, ha dato da mangiare moltiplicando i pesci e il pane. L’altro fatto più importante della religione Cattolica è questa: il rispetto della libertà dell’uomo. Questo si può verificare sia nell’Antico Testamento (per. Es. dopo che ha “peccato” liberamente, “Dio” non distrugge la sua creatura, ma le chiede di assumere la responsabilità dell’atto compiuto e poi, “Egli” non la lascia senza aiuto, e promette di inviare un “Salvatore”) che Nel Nuovo Testamento (Gesù sempre chiede cosa si desidera da Lui, dalla persona che sta di fronte, prima di agire con la propria percezione “divina”; questo “agire” può riguardare la guarigione da una malattia, o dare da mangiare ecc. Egli non esita a rispettare la volontà del soggetto umano. Non ha preteso, usando la sua appartenenza a un “Dio”, di violare la libertà del soggetto umano). Nella religione Buddhista, il Buddha, prima di insegnare, dava da mangiare affermando che lo stomaco vuoto non regge gli insegnamenti. Se è così, senza il rispetto dei soggetti umani che hanno nome e cognome, all’interno dei domini socio-politico-economici e culturali, qualsiasi verità è impossibile. Invece vi sarà sempre un caos che nasconde la realizzazione dei bisogni di un'elite. Cioè, a chi dice: soffrite! Perché è vostro il regno di “Dio”, io farei la domanda: dove sta questo regno e quando si può raggiungerlo? Poiché ho rivolto molte volte questa domanda, posso dire che la risposta solita è: dopo la morte, voi sofferenti (sciocchi ?) avrete tutto. Allora, se è così, coloro che godono e ci fanno soffrire in questo mondo non lo riceveranno? Se questo è vero, come mai, questi ambiziosi che dominano e sfruttano i propri simili in questo mondo pur di avere il potere e il dominio, non pensano a quel “regno di Dio”? È ridicolo, assurdo, contraddittorio alle loro teorie dell’uomo e va contro i cosiddetti diritti umani. Figuriamoci il rispetto per un “Dio” che non si vede, maa cui si  deve credere. Anzi, per la religione cattolica e per i cristiani, Gesù ha detto chiaramente di amare i fratelli come se stesso, perché Egli è nell’uomo, anzi, nei singoli uomini. Se tali sono circostanze in generale, quale verità è possibile?
Partendo dal soggetto umano, a una collettività di diverse grandezze, si pretende di possedere la verità, o si pensa di aver fondato i modi di vivere e di relazionarsi con il sé e con gli altri e con la natura, sulla verità. Ogni popolo confessa di avere la “Verità”. Dimostrano in oltre i legami soprannaturali all’inizio di questi popoli. Ora la domanda giusta sarebbe questa: è possibile una sola Verità? Se è positiva la risposta, è possibile che questa verità unica si rappresenti in modi diversi, nelle diverse parti del mondo poiché ha dato l’avvio alle varie socio-politiche-economico e culturali? Se anche qui la risposta è positiva, non è assurdo pensare un mondo uniforme, per esempio: che esista un’unica lingua, un unica religione, un governo solo, un sistema socio-politico culturale ecc.? Forse queste sono tutte forme di egemonia, di dominazione, di sfruttamento? Cioè, sono solo metodi efficaci, (salvo la diversità naturale proprio perché impossibile cambiare la natura fenomenica) attraverso cui qualcuno può arrivare all’uniformità, sottomettendo e intimidendo la cultura di coloro che non riescono a correre alla velocità della “Ferrari” con una carrozza rotta. In questo modo, è evidente che un sistema socio-politico-economico e culturale non capitalistico del cosiddetto terzo mondo, è soggetto a stati di conflitto interni ed esterni. Altrettanto evidente che questi conflitti sono scaturiti, nutriti e mantenuti da parte della forza socio-politico-economico e culturale occidentale (cfr. il mio articolo su questo blog: dialogo è la sinergia della vita), in vista di profitto e di diventare i capi del mondo intero anche spiritualmente sostituendo il concetto di Dio (monoteista) con il proprio potere, assumendo, innanzitutto e soprattutto la forza interpretativa[3]. Basta fare una ricerca sul come lo Sri Lanka ha vinto la battaglia contro il terrorismo.
Sembra che lo sfondo delle strutture socio-politico-economico-culturali siano basate sui miti che nascondono la verità o le verità agli esseri umani. È possibile affermare che le strutture che riguardano le verità della vita quotidiana dell’uomo non possiedano le verità, ma sono solo i prodotti interpretativi di chi ha il potere come abbiamo già discusso[4]? Se è così, è possibile affermare che la narrazione dei miti si basa su bugie e falsità, ma logicamente e tecnicamente funziona nelle situazioni socio-politico-economiche e culturali in vista di avere il potere e il dominio sugli altri (come scrive Hesse nella storia di “Kubu” il giovane che rifletteva tutto ciò che ha detto il “Mata Dalam” sacerdote che odiava il sole, per avere il dominio su tutti[5])?
Un’altra domanda fondamentale per noi è stata sempre questa: è possibile indicare le vie, i metodi di ricerca, le norme, le leggi per la ricerca della verità? Bisogna precisare brevemente cosa ora intendiamo per verità. Come abbiamo già detto sopra, la verità espressa nella vita quotidiana e quella spirituale sono forse due sfere di un’unica realtà, ma è sempre possibile trattarle separatamente grazie alla capacità “dialettica” dell’uomo. Ci sono poi anche le verità scientifiche (anche se non sono così precise o eternamente valide come ha dimostrato Thomas Kuhn nella sua opera: Structure of scientific revolution) che a loro volta rivendicano il diritto di autonomia nel predicare le verità “create”, modificando la materia all’interno delle situazioni socio-politico-economiche culturali. Queste verità scientifiche prendono inevitabilmente la forma della cultura in cui sono state create.
Infine, ci sono le verità religiose che a loro volta diventano dogmi, verità di fede. Questi sembra che non richiedano una logica, in quanto pretendono puramente un’accettazione di natura passiva da parte del credente. È vero che anche questo può essere una logica; cioè, le religioni presentano i metodi di pregare, per riflettere, come credere, come avvicinarsi alle verità di fede. In questo modo, anche questa diventa una logica basata sulla fede religiosa e, diventa un metodo, una via, che per noi è impossibile. Perché impossibile? La risposta richiede lunghe spiegazioni, ma limitiamo ad un fatto che, pretende, di essere empirico, anche se non sappiamo, come collocarla, quindi, quella quantistica. È vero che uno non può pretendere di provare delle affermazioni religiose, che riguardano la fede, con gli esempi empirici o scientifici. In modo adamantino, la nostra intenzione in questo caso non è provare o negare le verità religiose, ma solo verificare l’importanza del soggetto umano nel conoscere i fatti spirituali o soprannaturali che scaturiscono almeno in parte nell’intelletto (il resto non discutiamo in questa sede). Dunque, se dopo la caduta del muro tra il soggetto ed l’oggetto cartesiano, senza l’uomo (soggetto) le verità di qualsiasi genere non esistono; possiamo ritenere che, qualsiasi verità viene creata da un soggetto o creata da una collettività dei soggetti (per es. oggi vi è una comunità scientifica molto potente) . Nella quantistica, tra soggetto ed oggetto non vi è una distanza, quindi, il soggetto in modo diretto interviene sull’oggetto, prima nell’osservazione poi nell’interpretazione. Di conseguenza, non è più un oggetto puro ma è “un manipolato” (in senso positivo o negativo sempre è una collocazione in una situazione[6]). Se è così, le verità di qualsiasi genere, sono create all’interno delle situazioni socio-politico-economiche e culturali. Tutto ciò afferma che la verità, o le verità non possono scaturire dai metodi o dalle vie create da qualcuno. Così sembra che la verità, se la consideriamo come un’unità, non può essere istituzionalizzata. Se è così, nessuno è proprietario della verità? Nessuno può sapere la verità in modo esauriente? Allora, la verità è un campo di ricerca aperta, senza vie, metodi, istituzioni, organizzazioni?
Una conclusione sarebbe questa: l’uomo dovrebbe essere libero da questi ostacoli per raggiungere la verità (cfr. il nostro articolo su questo blog: Dialettica e libertà). Un altro fatto sarebbe la natura relazionale dell’uomo; quindi, nella “logica del riconoscimento”. In questo modo congenito, l’uomo comincia a riconoscere, prima se stesso poi comincia a narrare in modo autentico ciò che ha compreso. Forse, lì c’è la verità? Una cosa è certa, quando uno comincia a narrare, attirando l’attenzione degli spettatori o/e ascoltatori, ha nelle sue mani il potere e il controllo delle menti e dell’immaginazione (senza tener conto quanto è la lunghezza del tempo dell’influenza ecc). Se è così, allora, di quale verità noi stiamo parlando, sperando, dipendendo e difendendo alle volte anche fanaticamente?


[1] Quest’affermazione sembrerebbe alla prima vista, una fatta senza riflettere e senza tener conto altri fattori relativi; invece, se a livello fondamentale esistenziale, quindi, nella vita quotidiana, l’uomo è soddisfatto, solo, in quell’istante può scaturire una sorgente pacifica verso a un livello spirituale. Altrimenti, uno/una deve lottare per la propria sopravvivenza. E lì ci troviamo troppi aggettivi che forniscono all’uomo comune, i motivi per cui sacrificarsi la propria vita e sopportare tutti i disagi, i dolori; per esempio, martire, eroe, cavaliere, patriota ecc.
[2] L’assurdità della politica dei paesi che discutano e poi pretendono a promuovere i diritti umani sarebbe questo: proprio non riuscire a liberarsi dalle proprie paure, pregiudizi in senso negativo, e in modo particolare non avere la volontà di rispetto alla libertà e alla giustizia proprio perché sono dominate dai desideri primitivi dell’esistenza, quindi, dalla volontà di dominio. I diritti, teoricamente, pretendono di essere tutti gli esseri umani (anche se noi siamo convinti che i concetti astratti di questo genere non dicano in concreto nulla e solo “flatus vocis”), ma in realtà maggior parte degli esseri viventi che vivono nei diversi parti del mondo, non sanno nulla di questi diritti, eppure anche loro vivono relativamente alle loro convinzioni della vita e socio-politico-economico e culturale. Cosa che non funziona? Quali sono i veri problemi? Dove siamo sbagliati? Bisogna discutere, approfondire e dialogare sinceramente.
[3] «I modelli linguistici, la scelta delle parole, le espressioni e i gesti vengono plasmati in un sistema semiotico manipolato da politici, da leader religiosi, e da capi giuridici per creare i miti che servono a consolidare la struttura di potere [Questo metodo funziona in modo efficace, perché, come sostiene Roland Barthes]: Il compito del mito è quello di svuotare la realtà: [cioè] una percettibile assenza delle cose». Zipes Jack, Speaking out. Storytelling and creative Drama for children, trad. Ita., Edizioni conoscenza, Roma 2008, pp. 24-25.
[4] Cfr. Hermann Hesse, Der Waldmensch, Trans. Eng. Bantam, New York 1995, p. 190.
[5] Cfr. Hermann Hesse, Der Waldmensch, Trans. Eng. Bantam, New York 1995.
[6] Come abbiamo trattato nella nostra tesi di dottorato, la complementarietà tra la retorica ed ermeneutica è evidente in qualsiasi verità umana.

Tuesday, 3 March 2009

CHI SONO I FILOSOFI


Indice

premessa

Il punto di partenza

Il nesso tra la filosofia e la vita

Il carattere precipuo dell’uomo

Filosofia e libertà

L’oggetto della filosofia

La materia sconosciuta dipende dall’uomo

conclusione

premessa

La filosofia è squisitamente umana. Il termine “filosofia” deriva dalla lingua greca: “philos + sophos”, quindi, designa l’amore per il sapere. D’altra parte, anticamente la filosofia è stata considerata come il sapere unitario e massimo che un uomo possa raggiungere. Quindi, questo massimo livello è nominato dal termine “saggezza”. La saggezza a sua volta non è solo teorica ma è insieme teoria e pratica, cioè, la phronèsis, quindi, come ha definito Aristotele, è la “saggezza pratica”. La filosofia non è un attività umana destinata a vagare nelle nuvole, ma è la vita stessa dell’uomo in quanto uomo. Se qualcuno tenta di dividere la capacità di “pensare” dal “vivere”, questo è innanzitutto e soprattutto una contraddizione, perché, senza un processo complesso dei dati con la capacità relativa del giudizio, uno non può esprimere qualcosa per far capire l’altro. Quindi, per separare il “pensare” dalla vita, occorre pensare deliberatamente. È questo è un processo di disumanizzazione. Come abbiamo dimostrato anche nella nostra tesi di dottorato, «l’uomo, non può non pensare e non può non comunicare».

Il termine in lingua Sanscrito “darshana”, significa “drushyathe anena ithi darshanam”, ossia, “da questo abbiamo visto. Ciò che intendiamo come filosofia in occidente, diventa in Sud Asia[1], “la scienza del vedere”. Non c’è nulla da amare od odiare, ma solo molto da “vedere”. L’arte del vedere, ossia, “darshnaya” ha due livelli complementari, “kriya” e “gnàna”, ossia etica ed epistemologia-ontologica e altre tipologie. Secondo il nostro avviso, partendo dal concetto di filosofia e darshana, la vita dell’uomo, in quanto “avente logos”, dovrebbe essere fondata sulla capacità dialettica e critica. In questo modo possiamo unire ciò che è diviso nella filosofia in occidente, il soggetto con l’oggetto[2]. Anche se si tratta su un piano generale, di un atto dinamico che riguarda la vita umana, la filosofia e il darshana sono due modalità sul piano teorico-pratico. Per quanto riguarda le finalità della vita pratica: è da qui che scaturiscono le “visioni del mondo”. Il fatto da notare è che sia la filosofia sia il “darshana” sono inseparabilmente legate alla vita pratica dell’uomo.

Il punto di partenza

Un filosofo fondamentalmente procede ponendosi delle domande su se stesso e sulla propria esistenza. In questo modo di procedere, tutto ciò che esiste fenomenicamente e ciò che uno può pensare e sentire sui piani particolari, vale a dire tutto ciò che per l’uomo è possibile (incluso anche il termine possibile) viene sottoposto alla discussione. In questo modo non vengono risparmiate, partendo dalla propria esistenza, la religione, la civiltà, la cultura, la tradizione e ciò che si conosce e i modi di conoscere e la validità di ciò che si conosce ed è possibile conoscere ecc. Se è così, allora, la filosofia non si dovrebbe fermare ad inginocchiarsi ai sistemi chiusi e assolutamente perfetti e totalitari che sono a loro volta destinati a sparire dal pianeta terra[3]; invece con il proprio spirito dialettico e critico, la filosofia pone le domande su tutto ciò che è possibile proprio nel nome della verità. La verità secondo Socrate è «il consenso tra le menti»[4].

Il nesso tra la filosofia e la vita

Noi sosteniamo un legame stretto tra il pensare e il vivere, per quanto riguarda l’uomo. In modo più preciso, consideriamo l’insieme della filosofia con la vita umana come, una cosa sola[5]. L’uomo in quanto uomo è un ricercatore delle verità ed egli si pone ininterrottamente domande secondo la propria virtù e ne cerca le risposte relative[6]. Con tutto ciò la filosofia diventa la catalisis del pensiero e così essa soggiace alle varie forme e ai modi di pensare. L’uomo in quanto comunicante vive sulla base della relazionalità, non può non comunicare. Le frazioni di conoscenza necessariamente dovrebbero essere comunicate con il metodo descrittivo, secondo le proprie capacità. Così nascono e si sviluppano il racconto, la storia, la conoscenza e la saggezza pratica nella comunicazione.

Il carattere precipuo dell’uomo

Il carattere precipuo dell’uomo è: lui/lei non può, non comunicare.

Spieghiamo. La comunicazione è lo sfondo e l’esistenza dell’universo. Nulla può esistere senza le relazioni comunicative. Una comunicazione di questo genere, non è necessariamente coscienziale, emotiva ed affettiva o intellettuale, cioè, una tipologia riservata agli esseri umani[7]. Basti pensare ad una molecola d’acqua: due molecole d’idrogeno con una di ossigeno, grazie ad una speciale relazione, formano una molecola d’acqua. I naturalisti hanno intuito le traiettorie degli elementi e, nell’incontro di due elementi, una interferenza violenta da parte di un terzo elemento (forse intendevano la vita o lo spirito?). Noi per quanto riguarda l’elemento unificatore, portatore e sostenitore, riteniamo importante il concetto di catalisis. Il concetto di catalisis, a sua volta, vibra solo sui piani complementari e sulle sinergie dell’esistenza e anche del pensiero umano. Per noi un uomo è simile a una pianeta, a un mondo vivente, quindi, comunicante. L’avente logos, ossia l’uomo, deve guadagnarsi la propria libertà dall’arte della contemplazione. In questo modo l’avente logos riesce a “creare” dimensioni diverse, relative alle proprie virtù. Precisiamo che, con il concetto di contemplazione, intendiamo il modo dialettico e critico di un soggetto che viene in parte guidato dalla propria coscienza, quindi, dalle forze della retorica ed ermeneutica del pensiero. In questo processo, vi è un'altra parte che non dipende dal soggetto cosciente, che proprio per causa della non consapevolezza, interviene in modo esplicito[8] facendo da catalisis per una visione dialettica del proprio mondo.

Filosofia e libertà

Ora, un filosofo ponendo delle domande allarga, secondo noi, l’orizzonte della visione del mondo degli esseri umani. Anzi, noi riteniamo che non può esserci alcun uomo (non importa quale sia la classe sociale o i gradi accademici o la forza intellettuale o il potere e il denaro che ha) che non abbia filosofato almeno una volta nella propria vita, cioè che non si sia posto delle domande riguardo alla propria esistenza e/o l’esistenza degli altri. Il pensare è, grosso modo, la nostra esistenza. Ecco perché, Ernst Bloch, dice che dalla cultura e dalla civiltà gli esseri vengono imprigionati nei sistemi. Questi sistemi a loro volta diventano sovrastrutture che tolgono, ossia sostituiscono, la libertà degli esseri umani. Ora questo fatto è evidente nel nostro mondo fatto di ipocrisie: senza la guerra oggi la pace non può esistere. D’altra parte, senza le guerre, l’economia dei paesi sviluppati non può tirar avanti; essi vendono, cioè, le armi ai propri eserciti e allo stesso tempo ai propri nemici. Allora, un filosofo inteso come uno che sente per natura e anche per gli studi compiuti (non è indispensabile), esso dovrebbe pensare e agire nella libertà, con la libertà e per la libertà (non intendiamo una forma di anarchia, né liberalismo, né libertismo). I filosofi non devono essere sottomessi a nessuno, se non al rispetto della libertà altrui, al rispetto e alla giustizia (senza cadere nei relativismi). Vale la pena di ricordare l’unico esempio che noi abbiamo per ora: il filosofo Socrate.

L’oggetto della filosofia

L’oggetto della filosofia dovrebbe essere l’uomo in quanto uomo, che cerca la verità e che ha un destino per la libertà, nella libertà. Quest’ultima a sua volta è legata inseparabilmente alla comunicazione, non in senso moderno della banalità delle comunicazioni, ma in quanto “avente logos”, che è destinato alla vita relazionale. In questo contesto l’uomo estende se stesso partendo dai parametri dati, quindi dal socio-politico e culturale, verso il cosmo. In questo modo espande le dimensioni del mondo, cioè di ciò che circonda l’uomo. In una filosofia dialettica, o dialogica, la conoscenza immutabile o dogmatica non ha una funzionalità, invece la conoscenza che muta, come dice Bachelard la conoscenza «discontinua», produce la novità[9].

La materia sconosciuta dipende dall’uomo

Se noi non sappiamo cos’è la materia, vale a dire cos’è questa sostanza come tale, a parte dei fenomeni materiali che hanno la loro materia costitutiva, noi non possiamo dire nulla sulla materia. Ma forse come pensano tanti, grazie alla natura fenomenica fatta forse da questa cosa che chiamiamo materia, possiamo noi comprendere qualcosa della sua natura? Ci sembra di no, non avendo un’idea precisa di che cosa sia questa sostanza materiale. Così tutto ciò che pensa e si afferma di questo concetto, non sembra sbagliato ma funzionante e a loro volta dipendente dal logos umano: «[…]gran parte di ciò che noi sappiamo lo dobbiamo alle parole della […]lingua, che altri hanno parlato prima di noi. Senza di esse la nostra intelligenza non sarebbe maggiore di quella di altri mammiferi superiori. Senza di esse non sapremmo costruire i linguaggi e le procedure della scienza. […]. In questa prospettiva i diversi ambiti scientifici non si confondono davvero tra loro, anzi si ordinano, ma in modo appropriato, iuxta propria principia, a seconda del loro maggiore o minore avvicinarsi alle condizioni di libertà discorsiva e di precisazioni meramente locali della comune attività verbale»[10]. Nonostante questa lacuna per quanto riguarda la materia, noi ammettiamo il principio della funzionalità delle leggi fisiche e chimiche create dagli uomini. Questo dovrebbe funzionare in uno sfondo di rispetto e di giustizia: «Expermentation must give way to argument, and argument must have recourse to experimentation»[11]. Perché l’autore di tutto è l’essere umano in quanto «avente logos».

conclusione

Noi pensiamo che all’origine la “creatività” e la capacità innovativa in tutti i campi, siano catalizzate dalla volontà e in parte dalla predisposizione della persona a sognare. Come sostiene Aristotele, l’uomo è capace di perfezionare ciò che è per lui pensabile e esperimentabile; quindi, colui che è capace d’immaginare mondi diversi, cose diverse, cercando di combinarle nella propria immaginazione in vario modo, sarebbe un filosofo? Sembra di sì. Basti pensare alla “nuova funzionalità” (da quasi venticinque anni), anzi, al ritorno della filosofia socratica, come maieutica della verità (quindi, un filosofo non è colui che sa tutto dell’altro, in modo esauriente) nella «consulenza filosofica» ossia, « teoria-pratica»[12]. Oggi un filosofo, dovrebbe essere in grado di riorganizzasi secondo i nuovi modelli, nella vita su qualsiasi punto pratico. Il carattere indispensabile del filosofo è la capacità di formulare le domande secondo le “situazioni” e trovare insieme le “interpretazioni” nuove e pratiche. Bisogna ora precisare la nostra posizione sulla conoscenza e sull’ontologia; dunque, per noi sono due discipline strettamente connesse. Anzi, sono complementari. Così, la conoscenza di un filosofo pratico, sarebbe quella basata sui fini (non intendiamo finalismo)[13]. Sembra che si stia affermando un modo unico di leggere i propri sogni attraverso tutte le discipline, dalla matematica alla filosofia, dalla teologia all’arte, dalla scultura alla pittura, alla fisica, alla biologia. Bisogna però mantenere una comunicazione non ambigua. Oggi da un filosofo si richiede la conoscenza dei linguaggi diversi e delle regole interne proprie delle diverse discipline. Un esempio di questo genere sarebbe Leonardo da Vinci.

Un filosofo per necessità oggi dovrebbe essere un ricercatore, come abbiamo detto poc’anzi, che contempla ciò che a lui/lei è possibile pensare e sperimentare. Al termine “contemplazione” noi non diamo un significato religioso; intendiamo invece che sia il modo dialettico e critico di un soggetto guidato in parte, dalla propria coscienza, quindi, dalle forze della retorica ed ermeneutica del pensiero. D’altra parte ci sono altri fattori imprevedibili ma verificabili in un “dopo” immediato. Cioè, in questo processo, che non dipende dal soggetto umano in modo esplicito coscienziale[14] ma da catalisis per una visione dialettica del proprio mondo,occorrono catalizzatori come, cultura, tradizione, storia, memoria, civiltà ecc. È interessante ricordare….. «Un idea non è niente altro che un idea, un semplice fatto di conoscenza, non produce niente, non può niente; essa agisce solo se è “sentita”, se c’è uno stato affettivo che l’accompagna e se risveglia tendenze»[15].

Ora possiamo tirar fuori un'altra conclusione: il dialogo tra i filosofi è indispensabile in nome della comunità umana, col rispetto e nella giustizia. Così i mondi possono essere riconosciuti e le dimensioni e le visioni del mondo vengono allargate. La filosofia non rimane sul piano provinciale e ripetitivo[16].

Ora possiamo dire qualcosa sulle qualità preliminari di un ricercatore: egli ha una grande curiosità «che ha per oggetto la ricerca della verità». La curiosità «è il motore di ogni vita intellettuale»; dice Einstein a questo proposito «Non ho particolari talenti, sono solo appassionatamente curioso»[17]. Socrate nel Cratilo sostiene tre caratteristiche di un ricercatore: «l’interesse per la conoscenza, la benevolenza reciproca e l’intenzione di non ingannare. […]. Vero è il discorso di chi dice che le cose come sono, falso quello di chi dice le cose come dovrebbero essere [o come vorrebbe che fossero]. Secondo Socrate, il discorso vero si genera dall’incontro di una mente con un'altra mente, in un rapporto che rispetti tre requisiti essenziali: conoscenza, bene, verità. Secondo Socrate, dunque, il criterio di verità è “il consenso tra le menti”»[18]. Vale a dire, come abbiamo detto poc’anzi, nel dialogo noi “creiamo” la conoscenza. Se è così, la conoscenza ha, come influente diretto, le tradizioni, la cultura, la politica e altri fattori particolari. Allora, nell’ontologia noi trattiamo ciò che esiste secondo gli obiettivi, i fini di un soggetto (può essere anche un concetto collettivo). Senza questa noi non possiamo discutere della conoscenza. In questo modo, ritornando al nostro argomento del nostro articolo, possiamo dire che un filosofo, è un “creatore” e un “innovatore” della conoscenza.



[1] Sud Asia costituito da sette paesi: India, Pakistan, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Sri Lanka e Maldive.

[2] Cfr. Bhagavathgeetha, 17/3.

[3] Cfr. Berlin Isaiah, Freedom and Its Betrayal, Princeton University Press, Princeton 2002, pp. 103-104.

[4] Platone, Cratilo.

[5] Ciò che noi definiamo come pensiero e pratica, per noi sono due forme dell’unica dimensione, quindi del movimento, cambiamento psico-fisico e spirituale. Il movimento psico-fisico spirituale di per sé, nello status indefinito dai concetti (effetto complesso del socio-politico e culturale), è solo nei movimenti, insensati, indeterminati che sono naturali, spontanei. Se è così, la vita umana è il modo di cercare il senso per i processi individuati di volta in volta (coscientemente, incoscientemente o secondo altri fattori) che sono in perenne movimento. Su questo punto, bisogna ammettere l’importanza della “formazione” ad una mentalità aperta e flessibile della persona all’interno di una data cultura. Vale a dire, senza questa prima impostazione e definizione dei processi naturali psico-fisici, non sarebbe possibile un’identità personale, culturale e così non ha significato la ricerca del senso o della verità.

[6] Se ciò che ha affermato Socrate è giusto: cioè, la verità è il «consenso tra le menti», noi oggi possiamo comprendere ciò che accade nel mondo, cioè, che coloro che hanno un qualsiasi potere, decidono cosa sia conveniente da considerare come verità. Questo fatto noi lo vedremo nell’articolo in cui parleremo dell’ermeneutica che esige l’autorità. Allora, a questo punto, la gente comune o semplice, ha soltanto una possibilità marginale di essere accolta come formatrice e ricercatrice della verità. Non ha voce. Oggi i mezzi di comunicazione sono nelle mani dei potenti e sono controllati dai loro interessi. Noi vediamo le società così dette dei civili d’oggi come luoghi delle ipocrisie. La gente comune deve comunque mantenere tutto uno stato lavorando con le proprie mani. Ci sono oggi poi il cinema, il teatro, la musica e altri tipi di divertimenti che, utilizzati per raccontare fiabe morali, per tener sottocontrollo l’emotività della gente con immagini di eroi moderni, fanatici personaggi del cinema, dei giochi, perfino così detti criminali, diventano anche una trappola per la gente semplice. Per esempio nel cinema, l’uomo comune, un povero, diventa un eroe che salva un presidente. Così nei pensieri nei sogni i semplici pensano d’essere eroi. In realtà loro sono solo gente comune che dovrà sostenere tutte le spese dello stato (cfr. Ernst Bloch, Il principio della speranza, I-III volumi e di Herman Pleij, Sognando la cuccagna). Inoltre il paradiso delle religioni non è nel al di là ma è legato al presente, alla vita, qui: hic et nunc. Così il povero sogna di essere consolato nell’al di là, mentre il potente e il ricco vive già su questa terra, allo spese del povero che lavora un paradiso. Basti pensare che oggi qualsiasi attività umana è interconnessa con l’economia e con la politica, le quali a loro volta si fanno pagare anche dai cadaveri.

[7] Noi non ammettiamo nemmeno una coscienza universale che fa da catalisis per l’esistenza.

[8] Precisiamo che su questo punto non intendiamo alcun fenomeno misterioso e/o religioso; sono semplicemente i fenomeni naturali che a loro volta rimangono ancora ignoti a noi esseri umani, come per esempio un tempo erano a noi ignoti alcuni batteri e virus.

[9] Bachelard Gaston, The Scientific spirit, trans. Arthur Goldhammer, Beacon press, Boston 1985, p. 54.

[10] De mauro Tullio, Scienze inumane e scienze inesatte, in, Sapere, bimestrale, febbraio 2008, anno 74, numero 1(1055), pp. 72-76.

[11] Bachelard Gaston, The Scientific spirit, trans. Arthur Goldhammer, Beacon press, Boston 1985, p. 4.

[12] Cfr. Rabbe Peter B., Philosophical counseling: theory and practice, Greenwood publishing group, UK 2001.

[13] Noi non intendiamo un finalismo sul piano biologico. Non discutiamo di un creazionismo o un evoluzionismo; invece noi discutiamo sul piano conoscitivo. Innanzitutto sosteniamo che la conoscenza sia squisitamente umana. È una “creazione” umana. In questo senso, epistemologia ed ontologia sono strettamente connesse in modo complementare. Sul piano umano, dobbiamo dire chiaramente, che essendo l’uomo un essere libero, oltre le conoscenze tramandate dalle tradizioni e dalle culture, non vi sono specie prevedibili. Dunque, non ci sono le conoscenze determinate, organizzate da qualcuno invisibile. Ripetiamo di nuovo la posizione aristotelica, che sostiene l’importanza del soggetto umano come intenditore della perfezionabilità di tutto ciò che è perfezionabile. In questo modo il finalismo o la scienza moderna non soddisfano la nostra posizione sulla epistemologia-ontologica. Questa è a sua volta legata al concetto di infinito pensabile ed impensabile. Non ammettiamo un fine al di fuori della consapevolezza umana. Non ammettiamo neppure l’esistenza d’un mondo oggettivo al di fuori della coscienza umana. Ciò che diciamo noi, non vi è un finalismo che sostiene la subordinazione dei mezzi rispetto ai fini consapevoli. Sosteniamo innanzitutto e soprattutto, la posizione dell’essere umano di Kant; cioè, l’uomo non è un mezzo, ma il fine, anzi, possiamo dire, l’uomo libero, è fine a se stesso. Non c’è un intelligenza come sosteneva Platone che a sua volta dirigeva tutto «nel modo migliore». Invece riteniamo l’importanza di una causalità sana che procede insieme con i fini nella conoscenza. Cioè, un fine sul piano conoscitivo, è sempre una conseguenza e non nasce dal nulla. Per il concetto di causalità non intendiamo una causa efficiente aristotelica, che a sua volta crea secondo il suo piano universale deterministico, o il Dio-architetto di Malebranche, di Newton, di Leibniz. Kant invece propone il giudizio «riflettente» contro il determinismo matematico. Per lui argomento fisico-teleologico non ha valore per dimostrare il fine (argomento di san Tommaso). Non riteniamo nemmeno quel finalismo immanente di Hegel. Per noi l’uomo è capace di intendere il “vero” rispetto alla propria virtù. Questa intenzione, non viene attuata necessariamente nella vita quotidiana, proprio a causa della convenienza circostanziale (dominata da: paura, parzialità e piacere).

[14] Precisiamo, che a questo proposito non ci riferiamo ad alcun fenomeno misterioso e/o religioso; si tratta semplicemente di fenomeni naturali che a loro volta rimangono ancora ignoti a noi esseri umani come un tempo erano, per esempio, ignoti a noi alcuni batteri e virus.

[15] Anna Curir & Felice Perussia, Tipi di laboratorio, in Rivista bimestrale, Sapere, anno 73°, n. 5 (1052), edi. Dedalo, Agosto 2007, pp. 72-79.

[16] Come per esempio lo studio delle università d’oggi è, ripetitivo. Non c’è lo spazio per la “creatività” o per l’innovazione. Tutto, come dice nella prefazione di Isola dei pinguini, Anatolia Franz: i ricercatori, devono solo copiare ed incollare. Il nuovo fa paura. I ricercatori devono ricordare ciò che sanno tutti e basta. Così riceveranno applausi, meriti, regali, medaglie ecc. altrimenti riceveranno tutte le disgrazie possibili. Una cosa oggi è certa; se un ricercatore (disgraziato!) che porta il nuovo viene condannato a morte - e questo avviene in Europa o in USA - prima o poi lo si farà santo e gli si presenteranno anche le scuse.

[17] Anna Curir & Felice Perussia, Tipi di laboratorio, in Rivista bimestrale, Sapere, anno 73°, n. 5 (1052), edi. Dedalo, Agosto 2007, pp. 72-79.

[18] Anna Curir & Felice Perussia, Tipi di laboratorio, in Rivista bimestrale, Sapere, anno 73°, n. 5 (1052), edi. Dedalo, Agosto 2007, pp. 72-79.




ajithrohanjtf@gmail.com

WATER - Man, The Narrator. The protagonist of the Auto-biographical story.

WATER - Man, The Narrator. The protagonist of the Auto-biographical story.
"No man, therefore No world". Man is the creator of his world within that so-called "natural world".